
Quaresima è tempo di conversione. Da sempre. Un padre della chiesa, Isacco il Siro, scriveva: “Beato l’uomo che conosce la debolezza”, o ancora: “Chi conosce i propri peccati è più grande di chi resuscita i morti”; oppure: “Chi è capace di vedere se stesso così com’è, è più grande di colui al quale è stato dato di vedere gli angeli”. La cosa affascinante e paradossale di queste espressioni è che il pentimento è una grazia che viene dal Vangelo. Non un esercizio di autocritica, bensì il segno, l’indizio che lo Spirito Santo sta operando in noi.
E allora mi piace leggere come un dono dello Spirito Santo l’invito alla conversione, al cambiamento che l’Arcivescovo Mario offre a tutta la chiesa milanese attraverso quel cammino di pensiero, ascolto, confronto, preghiera e decisione che ha chiamato “Chiesa dalle genti”. Un percorso che si fonda su alcuni presupposti.
Il primo è che la chiesa, anche la chiesa dei santi Ambrogio e Carlo, è una chiesa convocata da ogni parte della terra. Noi non siamo i padroni di questa chiesa e siamo chiamati a starci nello spirito dei pellegrini, consapevoli che anche se abitiamo splendide basiliche dobbiamo pensarci come “tenda di Dio con gli uomini”, sempre pronta ad essere smontata e ripiantata. L’Arcivescovo usa questa immagine nel documento preparatorio: “Non siamo una casa di accoglienza ben organizzata che concede generosa ospitalità ai passanti, siamo un popolo in cammino, una casa in costruzione, una fraterna convivenza che vive un tempo di transizione che riguarda tutti e tutto”.
Ecco allora il secondo presupposto: essere lucidamente consapevoli dei grandi mutamenti che stanno modificando la nostra vita quotidiana come l’inverno demografico e la trasformazione della famiglia. Molti oggi parlano di “meticciato” cioè della opportunità di fare i conti con un incontro di culture che non abbiamo scelto, ma che possiamo accogliere cercando di portarlo a riscrivere le nostre identità individuali e sociali. “Meticciato” come strumento per la costruzione di una nuova fraternità in un tempo di individualismo. Non dimentichiamo che i fedeli migranti sono in cospicua parte dei battezzati, membra dello stesso corpo di cristo, portatori di doni propri.
Contro l’inerzia che ci spinge a ripetere gesti che ci costano sempre più fatica (“si è sempre fatto così”), la presenza di cattolici di altre nazioni e continenti ci offre la possibilità di pensare a pratiche di “contaminazione” capace di far nascere un modo inedito di essere Chiesa a Milano.
Tenendo conto di queste premesse la domanda è “come deve essere la nostra Chiesa per essere fedele alla volontà del suo Signore?”.
Da ora fino al prossimo autunno siamo chiamati a metterci in discussione, ad ascoltarci, ad esplicitare le nostre paure, ad immaginare una Chiesa formata dalle genti che nelle nostre terre sono venute per abitare, per lavorare, per sperare in un domani migliore.
“Mai da soli” era lo slogan scelto per questo anno pastorale. A partire da questo tempo di quaresima siamo chiamati a tradurlo in rapporto alle genti che condividono la nostra fede anche se provenienti da altre terre e altre culture. “Mai da soli”, ossia la costruzione di una chiesa sempre più meticcia, sempre più cattolica, radicata nella storia delle terre ambrosiane, ma capace di farsi trasformare dalle genti che in questa storia stanno entrando e che questa storia vogliono scrivere assieme a noi. “Mai da soli” significherà coltivare l’arte del buon vicinato con queste genti da cui attendiamo una nuova vitalità per le nostre comunità pericolosamente anziane e sterili.