Non si tratta solo di migranti

Non si tratta solo di migranti

Fare i conti con le nostre paure, con la nostra capacità di esercitare la carità

Il prossimo 29 settembre verrà celebrata in tutto il mondo cattolico la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Sarà un’occasione preziosa per fissare lo sguardo su un fenomeno di portata planetaria che si stima riguardi più di 70 milioni di esseri umani costretti a sradicarsi dai propri territori di origine a causa di conflitti, persecuzioni, catastrofi naturali. Un fenomeno che sta impattando anche sulla politica del nostro Paese e al quale, come comunità di Santo Stefano, stiamo offrendo un non modesto contributo con il progetto di ospitalità di sette eritrei sotto la regia di Caritas Ambrosiana.

Lo scopo di questo editoriale è così duplice. Anzitutto di invogliarvi ad una lettura personale del messaggio di Papa Francesco che troverete stampato a parte. Un messaggio che – se letto liberi dalle visioni isteriche e pagane di certa stampa – si mostra come capace di illuminare la coscienza dei credenti e degli uomini di buon senso. Si tratta di migranti, certo, ma per scoprire che quando si parla di questi fenomeni ciò che è in ballo è molto più di quanto i nostri politici vogliono farci credere: presunte invasioni, sostituzioni etniche, difesa dei confini italici, contrasto di organizzazioni non governative che lucrerebbero su questi movimenti, …

E così il Papa ci invita a “fare i conti con le nostre paure”, con la nostra capacità di “esercitare la carità” anche nei confronti di chi forse non potrà mai ricambiare né ringraziare. Quando parliamo di migranti siamo messi in discussione nella nostra umanità, nel nostro saperci fare prossimi nei confronti di quanti vengono messi ai margini anche e soprattutto da un sistema economico e finanziario che uccide. Ascoltiamo il Papa: “Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali non vogliono poi farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti”.

Il messaggio continua ed evangelicamente (e provocatoriamente) ci richiama a “mettere gli ultimi al primo posto”. Se il mondo ragiona nella logica del prima io e poi gli altri, il motto del cristiano deve essere “prima gli ultimi”. Certo che questa prospettiva ci fa andare controcorrente! Ma come è possibile dirci cristiani ed ostentare a volte orgogliosamente la nostra identità e la nostra storia, senza percepire che la missione di Gesù ha nel cuore “tutta la persona, tutte le persone”. I migranti ci spingono a riflettere e a mettere in ogni attività politica, come in ogni progetto pastorale, la persona e le persone. Nessuna esclusa. Solo a partire da questo sguardo largo quanto lo sguardo di Dio sulla storia impareremo a “costruire la città di Dio e dell’uomo” e a liberarci dall’illusione di poter edificare un paradiso basato sullo sviluppo tecnologico e consumistico. I migranti, con la loro presenza talvolta scomodante, potrebbero aiutarci a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti. E chissà che un giorno non riusciremo a riconoscere la dimensione provvidenziale di questo fenomeno: la ricerca di migliori prospettive di vita da parte di questi fratelli e sorelle, alla fine ci avrebbe salvati da una visione pagana, illusoria e distruttiva di benessere e di felicità.

Ecco allora il secondo scopo di queste righe. Approfittate della presenza dei sette eritrei in fuga da un regime dittatoriale e disumano che stiamo ospitando in via Volta 4. Approfittate del qualificato gruppo di volontari che li accompagnano e li sostengono verso una loro più efficace integrazione nel nostro tessuto sociale. Approfittatene per avere un assaggio vero di ciò che bolle in pentola a livello mondiale e per ricavarne un pensiero che possa assomigliare allo stesso pensiero di Cristo.

Don Roberto Davanzo

 

 

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