- Con grande solennità dobbiamo celebrare questa festa che ci fa rivivere il momento in cui si compie il mistero della Pasqua che parla di morte e risurrezione, ma anche dell’ascesa al cielo di Gesù di Nazaret, riconosciuto come il Cristo, l’inviato di Dio, cui fa seguito la promessa secondo cui i discepoli e l’umanità intera non sarebbero rimasti orfani, soli, abbandonati a se stessi. Pentecoste – 50mo giorno – parla di questa presenza che Gesù ci ha insegnato a chiamare col nome di Spirito Santo. Una presenza che già avvolgeva il mondo fin dal tempo della creazione, ma che ora assumeva un significato tutto nuovo.
- La liturgia ci offre una sovrabbondanza di letture, come nella notte di Natale, dell’Epifania e di Pasqua, quasi una impegnativa catechesi che attraversa un po’ tutta la storia della salvezza per aiutarci a riconoscere la presenza e il ruolo di quello che Gesù nel vangelo di stasera chiama “lo Spirito della verità”, che ci aiuta ad entrare nella verità di Dio, nel suo disegno, nel suo progetto di bene che ci indica in che modo stare nel mondo, meglio: che mondo siamo chiamati ad edificare.
- Per questo partirei dalla famosissima lettura della torre di Babele. Il libro della Genesi ci dice che gli uomini smisero di parlare la stessa lingua. Ecco allora una prima indicazione: lo Spirito viene donato in una situazione di diversità e di divisione, ma anche laddove l’uomo non pretende di risolvere queste diversità e divisioni attraverso l’imposizione di nessun pensiero unico, né attraverso la ricerca di una impossibile purezza di razza. Da Babele in avanti ci hanno provato in tanti a fare un mondo monoculturale, monocolore e ogni volta è stato sempre un fallimento con conseguenti indicibili sofferenze. Lo Spirito viene donato per rendere l’uomo consapevole di avere un Padre comune e quindi la possibilità di guardare agli altri uomini e vederli come fratelli. Un Padre comune e un unico Signore, quel Gesù che è venuto a raccontarci queste cose – questa verità – con l’unica lingua che possiamo capire: quella della condivisione.
- Non possiamo dire che la cosa abbia funzionato sempre. Lo dimostra in particolare l’analisi lucida con cui papa Francesco apre la sua ultima enciclica “Fratelli tutti”. Ascoltiamone qualche passaggio:
Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi. Vediamo come domina un’indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca. Questo disinganno, che lascia indietro i grandi valori fraterni, conduce «a una sorta di cinismo. Questa è la tentazione che noi abbiamo davanti, se andiamo per questa strada della disillusione o della delusione. […] L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro».
“Fratelli tutti”, Papa Francesco
Ma il seme fu posto nel lontano giorno di Pentecoste. Tornare a celebrare questa solennità significa ricordarci quale è la nostra identità: quella di poter costruire un mondo in cui i diversi non solo non si massacrano, ma addirittura si capiscono e si parlano.
- Ecco allora la lettura di Ezechiele con la straordinaria immagine delle ossa aride. Quando Ezechiele scriveva questa pagina Israele si trovava in uno stato di profonda depressione: era esule a Babilonia, la città santa Gerusalemme incendiata, il tempio distrutto. Tra i sapienti del popolo si levavano voci di rassegnazione: “È inutile sognare, sperare. Ormai Dio ci ha abbandonato, gli dèi babilonesi sono più forti del nostro Dio. Adeguiamoci, diventiamo come i nostri potenti oppressori, dimentichiamo Sion”. Eppure, il profeta intuisce che per il popolo ci sarebbe stato un futuro, che lo Spirito di Dio avrebbe soffiato sopra quelle ossa e miracolosamente lo avrebbe fatto risorgere. A dire che una seconda funzione dello Spirito è quella di ridare vita, infondere coraggio. A condizione di non lasciarsi abbindolare e sedurre dai professionisti della paura. A condizione di non permettere ai mezzi di comunicazione di inondarci con le loro false notizie. A condizione di consentire alla Parola di Dio, ascoltata e custodita, di essere la principale fonte del nostro pensiero e del nostro giudizio sulla storia.
- L’ultimo spunto lo ricavo dalla difficile pagina di Paolo ai Corinti dove l’apostolo ci spiega che un ulteriore compito dello Spirito è quello di farci conoscere “i segreti di Dio”. In un altro passaggio sempre Paolo scriverà che i cristiani sono coloro che hanno “il pensiero di Cristo”, cioè coloro che guardano alla propria vita, ai problemi del mondo e della storia con occhi diversi: quelli di Dio. Occhi che non possiamo darci da noi stessi, anzi – scrive sempre Paolo – senza quegli occhi le cose di Dio appaiono come una follia. E allora ecco chi è il cristiano, l’uomo spirituale: uno che si è innamorato della follia di Dio, che magari non riesce ancora a metterla totalmente in pratica, ma che su questa sapienza-follia di Dio è disposto a metterci la faccia e grazie alla quale può giudicare ogni cosa. Che lo Spirito Santo disceso sugli apostoli a Pentecoste renda anche noi un po’ pazzi per Dio.
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