Domenica di Pentecoste 2021

  1. La Pentecoste, non dimentichiamolo, viene subito dopo l’Ascensione di Gesù al cielo. Ne abbiamo parlato domenica scorsa. Inizia un’assenza, Gesù non lo si vedrà più, ma in compenso comincia una nuova presenza. “Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più”. Finchè Gesù rimaneva sulla terra solo pochi potevano udirlo e vederlo. Con il dono del suo Spirito – certo, invisibile e impalpabile – ogni cuore, ogni vita lo può avere come ospite. Ci ha lasciato il suo Spirito, il soffio che lo abitava, la passione, l’amore che lo animava. Lo Spirito di Gesù, una nuova presenza dopo la sua assenza. Una presenza che arriva dappertutto. L’abbiamo detto nel salmo: “Del tuo spirito, Signore, è piena la terra”. Ma allora il problema è saperlo, riconoscerlo, mettere in gioco la nostra libertà dal momento che lui ci abita, ma non si impone mai; è nel cuore di ogni uomo, ma vuole essere ascoltato, la sua voce è voce di silenzio sottile … Nella Genesi, ricordate, si dice che Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza, soffiò nelle sue narici un alito di vita. A dire che ogni uomo – lo sappia o meno – è abitato dallo Spirito divino. Messaggio di straordinaria speranza e impressionante responsabilità. Qui si fonda la dignità della persona umana, qualunque essa sia, persino la più abbruttita. Qui capiamo che il senso ultimo della vita è riconoscere questo Spirito e lasciarlo agire in noi perchè ci renda pienamente uomini e donne.
  2. La riflessione che Paolo offre nell’epistola ai Corinzi ci fa fare un passo in più. L’essere abitati dallo Spirito non significa essere tutti uguali, omologati, fatti con lo stampino. Lo Spirito parla anche di diversità nella unità. La questione è decisiva: si tratta di riconoscere non solo di essere abitati dallo Spirito, di essere portatori di una stessa dignità, ma di avere ricevuto “una manifestazione particolare dello Spirito” allo scopo di costruire il bene comune. É questione decisiva perchè non basta sapere di avere un dono particolare: bisogna che – primo – si percepisca che questo dono viene da Dio e – secondo – che dobbiamo condividerlo con gli altri. O i carismi personali servono al bene di tutta la Chiesa, oppure possono persino diventare dannosi.
  3. Animati dallo Spirito di Gesù per essere e vivere da figli, dunque da fratelli. La fraternità è il caso serio della vita cristiana e delle relazioni umane, perché essa non è un dato acquisito per natura, ma il frutto di un cammino voluto. È accettare di non essere unici, è riconoscere la molteplicità come opportunità di una vita migliore. La fraternità parla della incompiutezza della rivoluzione francese. Senza fraternità la libertà si restringe ad autonomia senza relazione e l’uguaglianza porta al massimo a pensarci soci, ma mai prossimi. Averla dimenticata ha fatto crescere i mostri che esaltano l’idea di una economia che non deve rendere conto a nessuno o quella dei diritti individuali incapaci di fare i conti con un autentico spirito di comunità. La rivelazione biblica ci permette di scoprire che si diventa fratelli solo se si è davvero figli, cioè se si accetta l’esperienza del limite e dell’alterità. Quando questo limite non viene accolto si cade nell’odio, nella distruzione, nell’annientamento di sé e dell’altro.
  4. Ma c’è un terzo motivo di riflessione cui la festa della Pentecoste ci provoca e provoca la Chiesa tutta. Racconta il libro degli Atti che il dono dello Spirito a Gerusalemme si manifestò con la capacità dei discepoli di farsi capire dagli stranieri presenti quel giorno in città. Possiamo dire che quel giorno iniziò l’attività missionaria della Chiesa, la consapevolezza di esistere per il mondo, affinchè nessun uomo restasse privo della possibilità di conoscere il mistero di Gesù, morto e risorto, la nostra identità di figli di Dio destinati ad una vita inimmaginabile. Non credo di essere lontano dal vero se affermo che la nostra generazione di credenti ha smarrito l’ansia missionaria, che è ben altra cosa dallo spirito di conquista o da ogni delirio espansionistico. Ci sentiamo appagati, la nostra società si dice tranquillamente cristiana, e finiamo per non avvertire più il desiderio e la bellezza di farci almeno capire da quanti incontriamo nella nostra storia e sono lontani dalla fede o portatori di altre esperienze religiose. A commento di questo scarso anelito vi propongo un passaggio del discorso che Paolo VI fece a chiusura del Concilio Vaticano II e che esprime una passione di evangelizzazione che dobbiamo chiedere allo Spirito Santo per la Chiesa di oggi e di domani:

“La Chiesa è scesa, per così dire, a dialogo con gli uomini del nostro tempo; e, pur sempre conservando l’autorità e le virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale. Ha desiderato farsi ascoltare e comprendere da tutti … Ha cercato di esprimersi anche con lo stile della conversazione oggi ordinaria, alla quale il ricorso della esperienza vissuta e l’impiego del sentimento cordiale danno più attraente vivacità e maggiore forza persuasiva. Ha parlato all’uomo d’oggi, qual è”.

Paolo VI

Che anche a noi e alla chiesa di oggi e di domani riesca di scendere a dialogo con gli uomini di questo tempo e desideri farsi ascoltare e comprendere da tutti. C’è di mezzo nient’altro che il motivo del suo esserci al mondo.

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