Mosè parlò al popolo: 11Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. 12Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. 13Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. 14Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. 15Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. 16Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. 17Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, 18oggi io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso, attraversando il Giordano. 19Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, 20amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe».
Lettura del libro del Deuteronomio (30,11-20)
Ricominciamo
Riprendiamo il cammino in ascolto della Parola di Dio contenuta nel libro del Deuteronomio che presenta il testamento di Mosè, col quale ci dice che la Parola di Dio è praticabile, possibile, non è difficile, non è irraggiungibile. Il Dio di Israele è diverso dagli dei delle mitologie, preoccupati di tenere per sé gelosamente il segreto dell’immortalità. Gli umani, se volevano la vita degli dei dovevano scalare i cieli nel tentativo di rapirla. Così diverso questo Dio che viene a condividere con te una Parola che fa la tua immortalità.
Questo bellissimo passo suggerisce subito tre spunti di riflessione.
Tre spunti
Il primo è un invito all’obbedienza. Quando la Bibbia parla di obbedienza al Signore, intende sempre insieme libertà e gratitudine. La Legge, cui obbedire, fu data a Israele una volta liberato dalla schiavitù d’Egitto. La memoria di questo dono era ed è garantita dalla festa della Pentecoste che Israele ancora oggi celebra 50 giorni dopo la Pasqua. La liberazione dall’Egitto sarebbe stato un dono incompleto se Israele non avesse ricevuto le “istruzioni per l’uso” di questa libertà. La Legge fa parte del dono della libertà, una libertà che è fare il massimo bene possibile. Un bene al quale la Legge ti orienta e ti indirizza. È proprio ricevendo la Legge che Israele comprende di essere libero. Uno schiavo non ha legge propria: è sotto la legge del dominatore. Per questo Israele non ha mai considerato la Legge come un peso, bensì come un dono. E il passo del Deuteronomio ne parla con gioioso entusiasmo. Nulla di più sbagliato che pensare la sottomissione al Signore come una menomazione di sé, una limitazione della propria spontaneità. Al contrario, sottomettersi a Dio, obbedire a Lui significa imboccare la strada della vita, sviluppare appieno le esigenze più profonde del nostro essere uomo.
Il secondo è un appello alla conversione. “Se il tuo cuore si volge indietro …”. Questo secondo comando suppone che Israele abbia smarrito la rotta. Convertirsi significa, infatti, voltarsi e mettersi nella direzione giusta. Il testo non elenca le cose da cambiare, perché non si tratta di cose, ma del centro: Israele deve ritornare al Signore. Questo è il più grande comandamento. La conversione deve essere totale, altrimenti non è più conversione. Non si può camminare su due strade, né dividersi: qualcosa a Dio e qualcosa a se stessi. L’appello alla conversione dice che nel cuore dell’uomo abita ancora il peccato, malgrado il dono della Legge. La Legge può indicare la strada, ma non dà la forza per camminarci sopra. Sarà così necessario un altro passo, un’altra Legge: non più un comando che viene fuori dall’uomo e che l’uomo deve affannarsi a rispettare, ma una Legge scritta nel profondo del suo cuore. Ecco dunque il terzo spunto.
“Questo comando […] non è troppo alto per te, né troppo lontano da te”. Probabilmente con questa affermazione si vuole rispondere a un’obiezione: la Legge di Dio è un ideale troppo alto per noi poveri uomini, è impossibile da osservare… Il Deuteronomio risponde che non è vero: la Legge di Dio è vicina (non è qualcosa di aggiunto all’uomo, ma è inscritta nelle esigenze dell’uomo) e non è impossibile, perché quel Dio che la esige è un Dio vicino, un Dio con noi. Queste affermazioni del libro del Deuteronomio acquistano tutta la loro piena verità se pensiamo a Gesù Cristo. Gesù è il Dio che si è fatto vicino, uomo, visibile, imitabile, e la Legge è seguirlo. Non è la freddezza di una norma astratta, ma il fascino di una persona vivente.
Tutto si riassume dunque nel mantenere un contatto vitale con la Parola di Dio. In questo breve passo, la Parola (davar) viene quasi personificata. Infatti, è lei che ci raggiunge, è lei che ha l’iniziativa. Le sofferenze agevolano questo contatto, ci aprono l’orecchio. Ma la Parola è sempre presente, a nostra disposizione. La Bibbia, il Deuteronomio, sono il santuario mobile che ci accompagna in ogni esilio. Non si tratta di operare un’impresa impossibile come salire in cielo o attraversare il mare. La Parola è vicinissima, come Dio è vicino a noi ogni volta che noi lo invochiamo.
I rabbini dicono che la distanza tra noi e Dio è la stessa che corre tra la bocca e l’orecchio. Non appena una parola è sulla nostra bocca, Dio l’ascolta. Non appena noi leggiamo o proclamiamo la Parola di Dio, essa ci entra perfino nel cuore, al fine di viverla, di praticarla.
La rilettura cristiana
Questo giustifica l’attualizzazione cristologica del testo operata da Paolo (cf. Rm 10,5-8) in cui la Parola è Gesù stesso che non solo non rimane distante dall’uomo per imporgli norme e comandamenti, ma addirittura gli si fa prossimo, vicino, compagno di cammino, “ospite dolce dell’anima”.
5Mosè descrive così la giustizia che viene dalla Legge: L’uomo che la mette in pratica, per mezzo di essa vivrà. 6Invece, la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? – per farne cioè discendere Cristo –; 7oppure: Chi scenderà nell’abisso? – per fare cioè risalire Cristo dai morti. 8Che cosa dice dunque? Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo.
È Cristo che è sceso negli abissi con la sua morte ed è risalito in cielo con la sua resurrezione. Non è più necessario uno sforzo titanico da parte dell’uomo. Per lui, con lui e in lui questa Parola diventa anche nostra.
Il Deuteronomio ci prospetta ancora una volta le due vie, la vita o la morte, la salvezza o il peccato: “scegli dunque la vita” (30,19). In tutto il libro questo verbo “scegliere”, il verbo che esprime l’elezione, ha sempre per soggetto Dio. Ma questa volta è l’unica in cui è l’uomo che è chiamato a scegliere. Si tratta della scelta decisiva, discriminante: la nostra fede.
Ogni giorno, anzi “oggi”, si pone quindi una scelta tra la vita e la morte, tra la benedizione e la maledizione. La Legge è la forza che ci orienta in questa scelta quotidiana per la vita. Da quando abbiamo conosciuto Gesù, sappiamo che la Legge è il Verbo di Dio che si è fatto carne, che è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ecco perché non è in alto, non è lontano, non sei costretto a passare i mari o a scalare i cieli per trovarlo. Essa ci dice: “Fa’ questo e vivrai” (Lc 10,28). Si tratta di fare, per vivere. “Scegli la vita”. Scegli quel Dio che con la sua incarnazione, con la sua morte e risurrezione, ha cancellato ogni distanza ed è venuto a prendere dimora nei nostri cuori ed ora parla a noi col dono dello Spirito.
Le conseguenze
Se la Parola discende nel cuore, ritorna poi sulle labbra, diventa anche la nostra parola. I nostri pensieri, le nostre parole devono essere specchio dell’unica Parola che ci salva, quella di Dio. Prendiamo ad esempio Maria, la madre di Gesù, donna dalle rarissime parole, tranne quella che disse a Cana: “Fate quello che vi dirà”, che vi dirà Gesù. Ascoltate quelle, scavatele. Maria di Nazaret non solo ha rivolto l’invito, ma ha dato anche l’esempio. Sia accogliendo il Verbo nel suo grembo nei mesi della gestazione. Sia nel ruminare le parole e i gesti del suo Figlio, del suo Signore.
Ecco l’invito che ci viene consegnato come testamento, messaggio urgente, dal libro del Deuteronomio, per giungere a scegliere per Dio, perché “è lui la tua vita”.
Domande per la riflessione personale
- Sulla Legge come “dono” e sulla tentazione di pensare alla Legge come ad una “tassa” da pagare per ottenere qualcosa da Dio.
- Sulla fede come “intimità” piuttosto che come “osservanza”.
- Sulla “scelta” dell’uomo che trova la sua radice nella scelta fatta da Dio a nostro favore.
- Sulla Legge “vicina” da quando Dio, in Gesù di Nazareth, si è fatto a noi prossimo.
Lascia un commento