- Continua l’excursus della liturgia lungo le tappe della storia della salvezza. Ed oggi la tappa è certamente più buia rispetto a quelle ben più luminose delle scorse settimane che raccontavano della creazione, del disegno d’amore sull’uomo e la donna. Oggi la questione sotto i riflettori riguarda il mistero del male che si insinua, che si infiltra nelle pieghe della storia. Un male che nel racconto di Sodoma e Gomorra e in quello della parabola degli invitati alle nozze assume il colore del rifiuto: gli abitanti di Sodoma e Gomorra avevano rifiutato di rispettare gli ospiti di Lot per abusarne; gli invitati alle nozze del Vangelo avevano rifiutato di condividere la festa e la gioia del loro re.
- Ma è chiaro che la nostra attenzione oggi vada concentrata sulla parabola del vangelo, meglio sulle due parabole che giocano su due simboli, quello dell’invito al pranzo di nozze e quello dell’abito. Due simboli, due immagini che stanno a dire da un lato come va vista la proposta che Dio fa all’uomo, dall’altro la possibiltà seria che l’uomo ha di rifiutare quella proposta e dunque di rovinare la sua vita.
- Si parla quindi di un invito ad una festa nuziale per dire che ciò che Dio ha in testa è di convocare tutta l’umanità ad una festa grandiosa, contro ogni isolamento, contro ogni solitudine. Ricordate: “non è bene che l’uomo sia solo”. Per dire che prima di qualsiasi precetto morale, prima dei comandi e dei divieti, deve risuonare l’invito alla gioia dell’Evangelo. Perchè la sala sia stracolma e sia festa per tutti. “Il regno di Dio è come una festa di nozze e ti arriva l’invito: il pranzo è pronto”. Che il banchetto fosse un’immagine del regno di Dio Gesù l’aveva già raccontato con la sua vita, con quel suo andare a banchettare con pubblicani e peccatori che gli aveva attirato un mare di critiche dai cosiddetti osservanti. Ma lui voleva fare capire che si può parlare di regno di Dio solo là dove non si hanno i volti immusoniti e là dove non si esclude nessuno. Lui a quei banchetti stava bene, stava proprio bene. Gli piaceva, era un racconto di come va interpretata, secondo Dio, la vita.
- A questo invito gratuito che riguarda tutti, buoni e cattivi, belli e brutti, si può però dire di no, ci si può rifiutare. Tanto è grande il dono, altrettanto è serio il rischio di buttare tutto all’aria. È scritto: “Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari, altri poi presero i servi, li insultarono e li uccisero”. “Chi al proprio campo, chi ai propri affari”: loro non si curavano di altro, di altro che le proprie cose, e – badate bene – le cose, solo le cose. Un invito ad altro, ad altro che trascenda le cose e che noi chiamiamo spirito, anima, senso della vita … non interessa. Un invito a condividere con altri pensieri, gioie sofferenze, drammi e speranze a loro non importa. Il banchetto come coralità della vita, come sconfitta del proprio isolamento, del proprio egoismo …, non importa, non interessa. Prima i nostri, prima i nostri interessi, le nostre cose. Incuranti, indifferenti. E non potrebbe essere questa una malattia che distrugge una vita, una vita ridotta a campi e affari?
- E allora ecco il secondo particolare della parabola: l’uomo senza abito nuziale; come lo possiamo intendere? Di certo non era un malvagio dal momento che nel testo si dice di fare entrare “tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni”. Dunque, non era l’unico e allora che cosa aveva fatto di male per meritare l’espulsione? Forse il suo male era di non volere cambiare vestito, vita, orizzonti, non voleva aprirsi al nuovo. A dire che l’invito alla festa non è solo per i buoni, per quelli che se lo meritano, ma per chiunque, cattivi e buoni. L’invito è gratis, ma una volta che lo accogli non puoi restare quello di prima. Gesù si rivolgeva ai sacerdoti e ai farisei del suo tempo, così come si rivolge a quanti abbiamo accolto l’invito a stare nella sua chiesa che anticipa la grande cena che ci attende alla fine dei tempi. Ci ha invitato così come siamo, ma non ci è permesso restare con il nostro vestito, con i nostri meschini calcoli umani.
- Nel battesimo, quando ci viene consegnata una veste bianca, ci viene detto: “Rivestitevi di Cristo”. Làsciati trasformare da Gesù, dal vangelo. E nel libro dell’Apocalisse sta scritto: “La veste di lino sono le opere giuste dei santi” (Ap 19,8). E le mie sono opere giuste, i miei sono pensieri giusti? Io sono giusto, onoro la giustizia, mi batto per la giustizia? Non sarà forse questo l’abito con cui mi è chiesto di entrare al banchetto?
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