“Con segni e con parole: il linguaggio liturgico”
1. Premessa
Veniamo da una storia che ci ha portato a considerare la liturgia come il cerimoniale della Chiesa. La messa domenicale un precetto, i sacramenti semplice sacralizzazione dei momenti importanti della vita, … Le celebrazioni del culto cristiano spesso sono diventate formalità esteriori, abitudini, adeguamento al comportamento della maggioranza, manifestazioni folcloristiche, … E’ stato il Concilio Vaticano II a mettere a fuoco come in realtà la liturgia abbia il compito di esprimere visibilmente la missione stessa di tutta la Chiesa che è quella di mettere l’uomo a contatto con Dio. Ecco perché riguarda – e deve essere vissuta con consapevolezza e frutto – da ogni cristiano che grazie alla liturgia alimenta la propria vita in Cristo e nella assemblea liturgica manifesta il corpo di Cristo, la continuazione del mistero dell’incarnazione.
Infatti, scriveva san Leone Magno, “quello che era visibile nel nostro Redentore è passato nei riti sacramentali”. Crediamo in un Dio che ha parlato al suo popolo e gli ha comunicato la sua salvezza attraverso segni visibili che trovano la loro massima espressione in Cristo Gesù, la parola di Dio fatta carne, il segno per antonomasia. Un Dio che continua a comunicare la conoscenza della verità e la sua salvezza attraverso i segni liturgici. Per questo “i riti risplendano per nobile semplicità; siano chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno generalmente di molte spiegazioni” (cfr. SC 33 e 34).
C’è di mezzo non solo una preoccupazione pedagogica, ma la consapevolezza che i sacramenti della Chiesa realizzano ciò che significano nel senso più pieno di questa affermazione. Quanto più i segni sono chiari, tanto più è sollecitata la risposta dell’uomo al dono di Dio che non viene mai meno (ex opere operato).
2. Perché la liturgia?
- per un motivo umano:
l’uomo ha bisogno di riti che gli permettano di scandire i momenti fondamentali della
sua esistenza, non solo con delle parole, ma anche con dei gesti, perché l’uomo non è
solo cervello; - per un motivo religioso:
la realtà, in particolare le esperienze più profonde (conoscere, amare, sperare), è l’apparire, lo svelarsi di un mistero, di un ignoto per entrare in relazione col quale abbiamo bisogno della poesia, dell’arte, della filosofia…
«Dobbiamo chiedere ai contemplativi di ogni tempo e di ogni cultura di educarci a rispettare umilmente il velo d’ombra che circonda la realtà e ad avventurarci coraggiosamente nella caligine incandescente del mistero. Dobbiamo chiedere a Leonardo di farci fremere di desiderio e di sconcerto di fronte al sorriso enigmatico della Gioconda, e a Michelangelo di coinvolgerci nel movimento inarrestabile del corpo del Cristo morto dentro il corpo della Madre, così come egli li ha genialmente fusi nel sublime non finito della Pietà Rondanini.
L. SERENTHÀ, Passi verso la fede, Leumann 1985, pp. 41-42
Dobbiamo chiedere a san Francesco di farci vedere l’aldilà delle cose, di farci udire il cantico che si sprigiona dalle creature, così come glielo chiedeva Einstein, il più grande fisico del nostro tempo, colui che ci ha aiutati più di ogni altro a capire l’aldiqua dell’universo materiale.
Dobbiamo chiedere a Gesù di farci capire il mistero dei gigli del campo e degli uccelli dell’aria; di guidarci, come ha guidato la Samaritana, a scoprire dentro e oltre l’acqua materiale, l’acqua viva che disseta il cuore (cf Gv 4); di proporre anche a noi, come ai turbolenti ascoltatori di Cafarnao, l’ardito itinerario che va dal pane materiale, miracolosamente moltiplicato, al pane che sfama tutto l’uomo (cf Gv 6)»
L’analisi della nostra esperienza ci porta a ritenere che c’è un ORIGINARIO che si dice in un IMMEDIATO. Solo se questo è vero possiamo parlare di una struttura simbolica della realtà, possiamo pensare alla realtà, ai fatti, agli eventi della nostra storia come ad un promontorio che si sporge sul mistero, su quel non-evidente che attraverso essa si dice, viene evocato dalle cose che viviamo e sperimentiamo.
- per un motivo cristiano:
le azioni compiute da Gesù – come le azioni del Dio dell’AT – non sono ingabbiate nella prigione del tempo, ma continuano la loro efficacia nell’oggi, ci consentono di essere contemporanei di quel mistero, perché la vita possa cambiare; dunque, è necessario poter disporre di uno “strumento” in grado di metterci in contatto reale con gli eventi della storia della salvezza; uno strumento che non sia solo “parola”, ma “segni e parole” che permettano al dono di Dio di rendersi presente ed attuale nella vita degli uomini - per un motivo di pedagogia ecclesiale:
tre sono le dimensioni cui educare (che fanno riferimento alla triplice missione di Gesù e quindi della Chiesa)- proclamazione e ascolto della Parola (missione profetica)
- vita morale come testimonianza (missione regale)
- celebrazione liturgica (missione sacerdotale) -> educare uomini e donne capaci di inserirsi in una celebrazione liturgica leggendo dentro i segni rituali il mistero celebrato e partecipandovi con un apporto personale; questo esige una educazione al simbolismo (= vedere al di là delle cose il loro senso)
cf Progetto Unitario Catechesi pp. 57-59 e 61s
3. La liturgia come particolare linguaggio simbolico
3.1
La liturgia è celebrazione in cui prevale il linguaggio dei simboli perché più intuitivo, affettivo, poetico, gratuito; la liturgia ha come obiettivo non solo il fare conoscere, ma anzitutto il mettere in relazione col mistero. Gesù è il simbolo (sacramento) per eccellenza, il migliore modello di attuazione simbolica; è il linguaggio più espressivo con cui Dio ha parlato all’uomo e con cui l’umanità ha risposto a Dio.
La liturgia altro non è che la continuazione dei gesti, delle parole di Gesù, perché la sua
azione abbia efficacia anche oggi, secondo questo schema:
segni dell’evangelizzazione (parola, catechesi, predicazione)
|
celebrazione liturgica
|
impegno cristiano (carità, servizio, impegno per una società diversa)
3.2
La celebrazione liturgica, in quanto simbolica, è anzitutto ESPERIENZA:
– EX = uscire da … un uomo solo razionale, dalla profondità di se stessi
– PER = attraversare tutti gli strati della mia umanità ed entrare in solidarietà con tutti gli altri uomini
– IRE = andare, compiere un percorso, cambiare
La celebrazione è fatta di simboli; tutto il linguaggio della celebrazione deve essere simbolico: luogo, persone, clima, parole, oggetti, canti, silenzio, …, tutto può divenire strumento per comunicare l’inesprimibile. A patto che ci faccia vivere l’esperienza evocata dalle realtà sensibili (v. ad es. i testi dei canti). Per questo è necessario riacquisire continuamente il linguaggio simbolico. Il rischio è quello di una mummificazione rituale delle nostre liturgie: i segni posti hanno sempre bisogno di essere spiegati, perché da soli non dicono nulla; oppure certi gesti vengono compiuti in modo reiterato e meccanico.
Un’azione è realmente simbolica quando fa scattare una capacità comunicativa di qualcosa difficilmente comunicabile. Ma per questo è necessaria la composizione armonica dei diversi elementi che formano l’ambiente della celebrazione: luogo, gesto, luce, parola, musica, silenzio, disposizione dell’assemblea, uso degli oggetti.
3.3
La liturgia non è un mimo, ma evocazione del mistero cristiano. Quando la lavanda dei piedi del Giovedì Santo smette di essere un gesto simbolico e si trasforma in rappresentazione teatrale, la liturgia tradisce il suo vero significato. Pensate che le norme del Messale evitano appositamente di definire il numero delle persone per le quali compiere questo gesto evocativo proprio per impedire di cadere nel mimo. Con quel gesto non si tratta di “rappresentare” teatralmente il collegio degli apostoli, ma quel servizio di carità che la Chiesa deve compiere oggi sull’esempio del Maestro.
Altro esempio è rappresentato da certi allestimenti della messa di prima comunione con posizionamento di un tavolo imbandito, nel mezzo della chiesa, perdendo il valore simbolico dell’unico altare. Così come negli anni passati alcuni pensavano di far bene celebrando la Pasqua con un mimo dell’antica cena pasquale ebraica con tanto di agnello ed erbe amare. Se è certamente istruttivo ed affascinante la conoscenza delle radici ebraiche della preghiera cristiana, questo non autorizza a confondere la liturgia con una rappresentazione teatrale.
La liturgia non è un mimo, non si riduce a sacra rappresentazione, a semplice memoria visiva, ma è linguaggio simbolico, fatto di segni che volutamente non intendono fermarsi all’occhio, ma vogliono colmare il cuore, trasportare oltre, a un dialogo interiore con l’ineffabile ed infinito mistero di Dio.
La liturgia, che pure deve dare informazioni attraverso le parole e soprattutto mediante la Parola, ha come scopo fondamentale quello di comunicare una presenza, una salvezza, per mezzo di gesti simbolici la cui ricchezza non è semplicemente descrittiva, ma evocativa.
4. Ombre pesanti sulla storia della liturgia
4.1
La liturgia, azione di preti. Una espressione che era iniziata come espressione corale di tutto un popolo, finisce per essere assunta solo da alcuni. È stato il Concilio Vaticano II a restituire a tutta la comunità cristiana il protagonismo liturgico.
4.2
Il fenomeno della lingua. Col passare dei secoli si arriva ad utilizzare una lingua che non era più quella della gente e che non era più capita. In nome della sacralità dei gesti liturgici si finisce per dimenticare che la liturgia è il luogo dell’annuncio.
4.3
Nel Medioevo, a causa di una liturgia non più in grado di esprimere la gioia e la fede di un popolo, scoppiano innumerevoli devozioni e forme di religiosità che il popolo finisce per trovare per proprio conto.
4.4
La riduzione giuridica della liturgia: il rubricismo. La liturgia veniva attuata secondo l’applicazione rigida di un rituale codificato, ma non ne comprendeva l’anima, quella di celebrare il dono che Dio ci ha fatto in Gesù Cristo per poterne vivere un incontro reale e trasformante.
4.5
La riduzione della vita cristiana a vita liturgica. In realtà, non si può, parlando di liturgia, parlare solo di liturgia. O la liturgia rimanda continuamente alla vita e alla quotidianità, oppure smette di essere una liturgia cristiana. La liturgia cristiana va sempre tenuta insieme alle altre due fondamentali dimensioni della vita della chiesa: l’annuncio del Vangelo che ci chiama a conversione e l’esperienza vissuta, testimoniata, della Parola a cui crediamo.
5. Conclusione
Se la fede è una relazione d’amore, come l’amore si comunica anche con le parole, ma soprattutto per concreta esperienza. L’annuncio cristiano non è semplice presentazione verbale di una dottrina, ma comunicazione esistenziale di una salvezza che viene trasmessa attraverso la ricchezza e la complessità dell’umana natura. L’evento liturgico, come ogni singolo rito sacramentale, unisce la parola alla materialità dei segni umani. È la stessa dinamica dell’incarnazione che continua attraverso quel corpo di Cristo che è la Chiesa.
L’arte del celebrare non consiste nel fare cerimonie spettacolari, ma impegnare tutta la ricchezza della nostra natura umana per rivelare il volto e l’azione di Dio, anzi per fare l’esperienza di Dio. Perché una celebrazione liturgica sia pienamente “valida” non è sufficiente la materiale osservanza delle rubriche. Essa deve essere “valida” anche dal punto di vista umano; cioè capace di coinvolgere l’essere umano nella sua totalità: cuore, mente, anima e corpo. Il che è possibile attraverso quel linguaggio simbolico che, solo, è in grado di esprimere l’indicibile e di rendere percepibile l’invisibile. Questo, infatti, è lo scopo della celebrazione liturgica.
APPENDICE
Dal linguaggio simbolico al linguaggio della vita
Nella celebrazione liturgica non si usano i simboli per fare spettacolo, per affascinare, per riempire gli occhi, ma per comunicare il messaggio di Dio e cambiare il cuore. La celebrazione liturgica è l’incontro d’amore fra lo Sposo e la Sposa, fra Cristo e la sua Chiesa, per mezzo di elementi simbolici (cfr. SC 7 e 47). Lo scopo della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II è fondamentalmente proprio quello di dare verità, semplicità e chiarezza al linguaggio simbolico delle celebrazioni cultuali affinchè appaia evidente il rapporto con la vita. I gesti liturgici intendono esprimere e alimentare uno stile di vita.
La separazione fra culto e quotidianità rischia di dare vita a cristiani tanto devoti quanto assenti dall’impegno nella storia. Cristiani anche generosi nell’elemosina e nelle relazioni private, ma indifferenti ai problemi sociali. Piacciono molto i cristiani impegnati in processioni e nella difesa delle tradizioni, quasi custodi di un museo. Peccato che non pare che Gesù abbia pensato i suoi discepoli in questo modo. Il culto cristiano affonda le sue radici in quell’ultima cena durante la quale Gesù lava i piedi ai suoi discepoli e fa del pane e del vino i segni sacramentali del suo corpo e sangue donati sul Calvario, fuori dalle mura della città santa. La liturgia non è un intervallo estemporaneo, ma luogo educativo rivelativo della fede.
La celebrazione liturgica: prima scuola per educare alla vita buona del Vangelo
La celebrazione cristiana non è un rituale magico piovuto dal cielo, né prescritto nei minimi dettagli dal suo fondatore. La liturgia ricalca in qualche modo la dinamica stessa dell’incarnazione. Come il corpo fisico di Gesù di Nazaret, essa riveste l’unica ed immutabile Verità con gli abiti del proprio tempo e fa propria la cultura in cui nasce e si sviluppa. I testi liturgici non sono come le formule magiche riservate allo stregone. Essi raggiungono lo scopo se sono comprensibili all’assemblea che costituisce il soggetto principale di ogni celebrazione liturgica. L’assemblea è il primo fondamentale simbolo della celebrazione liturgica. È l’assemblea che costituisce una reale presenza di Cristo che dialoga con il Padre. Partecipando alla celebrazione liturgica veniamo educati a riconoscere la presenza del Cristo nel volto dei fratelli. La partecipazione attiva, consapevole, esteriore ed interiore non è un semplice espediente per “vivacizzare” la liturgia, ma espressione visibile della natura sacerdotale, profetica e regale del popolo di Dio e della sua partecipazione alla missione di Cristo. Una assemblea anonima e muta, di semplici “consumatori”; un’assemblea che non porta con sé tutta la carica umana dei propri sentimenti di comunione, di partecipazione, di attenzione agli altri è la negazione, non solo della liturgia cristiana, ma anche dello stretto rapporto fra liturgia cristiana e vita. Solo un’assemblea “vera”, seria, non costituita da “turisti per caso” può educare cristiani veri, seri e impegnati a rendere visibile e operante la presenza del Risorto nella storia quotidiana.
Il linguaggio simbolico per comunicare la fede e iniziare alla vita in Cristo nella Chiesa
La fede cristiana non è un vago e individualistico sentimento religioso. “La fede è adesione a Dio, che parla e chiama gli uomini alla comunione, nel suo Figlio fatto carne … Formare la mentalità cristiana, significa nutrire il senso dell’appartenenza a Cristo nella Chiesa” (RdC 42-43). La celebrazione eucaristica, anche solo dal punto di vista antropologico e pedagogico, è la forma di comunicazione più incisiva: essa, infatti, annuncia celebrando e educa facendo. Comunica il deposito della fede “per ritus et preces” (SC 48), cioè attraverso il linguaggio simbolico dei gesti e delle parole, con un’efficacia che supera di gran lunga qualsiasi spiegazione verbale. La parola si unisce all’elemento materiale e l’azione sacramentale diventa come una parola che si rende visibile. Pertanto, un rito sbagliato rischia di comunicare una verità sbagliata.
Bibliografia per approfondire e per provare
- B. Baroffio, Essere preghiera, AVE, 1985
- R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana
- F. Brovelli, Corso di liturgia, In Dialogo, 1983
- G. Novella, Celebrare con le cose, LDC, 1986
- G. e N. Weindinger, Gesti, segni e simboli nella liturgia, LDC, 1987
- J. Aldazàbal, Simboli e gesti, LDC, 1987
- M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Paoline, 1989
- S. Sirboni, Celebrare per comunicare la fede, san Paolo, 2013
Lascia un commento