- Dopo la figura di Giosuè, il grande traghettatore nella terra della promessa, la liturgia ci propone un’altra figura decisiva per la storia della salvezza. Quella del re Davide che oggi viene presentato in un episodio ben diverso da quello di Golia che lo ha reso famoso e lo ha visto rappresentato nella storia dell’arte. Si parla di una danza che il re fa, seminudo, quasi invasato, in occasione della collocazione dell’arca dell’alleanza – il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo – nella città di Gerusalemme che era diventata la capitale del regno. Di fronte a quella danza la moglie di Davide, Mical, lo rimprovera. E questo ci dà l’avvio per una riflessione su ciò che è stoltezza e ciò che è sapienza, sapienza del vivere, almeno secondo il pensiero di Dio.
- Ma è il vangelo che ci offre le parole più dure e insieme più eloquenti su che cosa significhi vivere una vita sapiente, una vita saggia. Non dimentichiamo che le parole esigenti di Gesù vengono immediatamente dopo l’episodio di Pietro che riconosce Gesù come il Messia e che di fronte al preannuncio della passione risponde scandalizzato: “non sia mai…”. Ricordate il rimprovero di Gesù a Pietro, il primo Papa: “demonio, satana, non pretendere di essere tu a stabilire dove devo camminare”. A seguito di quel momento di tensione viene l’insegnamento che Gesù rivolge alla folla e ai discepoli, dice Marco. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso…”. Rileggevo queste parole che parlano di croce, di disponibilità a perdere la vita, e mi chiedevo come sia stato possibile che nei secoli in così tanti abbiamo deciso di credere in lui, di seguirlo. Mi chiedevo come sia stato possibile che alcuni stati si siano dichiarati pubblicamente cristiani. Mi chiedevo e mi chiedo se la perdita di consenso, lo svuotarsi dei seminari e delle chiese – almeno nei paesi occidentali – non sia il segno che forse qualcosa non funzionava, che insomma era inevitabile che si dovesse fare i conti con un cristianesimo più serio, più consapevole. Che non era più accettabile l’equivoco di un essere cristiani per abitudine, per consuetudine o peggio, per convenienza. Un cristianesimo visto come una specie di assicurazione sulla vita: per questa vita terrena anzitutto, per avere gli appoggi giusti per fare carriera, per avere un posto di lavoro, per saltare la coda il giorno in cui avessi bisogno di una visita, di un ricovero, di un’operazione, … E naturalmente anche per quella ultraterrena, per quella dopo: tutto sommato il prezzo non era nemmeno troppo alto: la messa alla domenica, qualche offerta, qualche cero …
- E allora ben venga questo momento di transizione e di fatica per le chiese di occidente, se diventasse capace di provocarci a un andare dietro a Gesù non più basato sulla ricerca di una “sicurezza”, tanto per usare una parola oggi di moda, ma sul dono della propria vita. Ecco che torniamo al dilemma da cui siamo partiti: stoltezza o sapienza, possesso o donazione, affermazione di se stessi o passione per gli altri? L’ “io” prevaricatore e arrogante o il “noi” del bene comune?
Il vangelo di oggi lo dice con un altro linguaggio, con un altro dilemma: conservare la vita / perdere la vita. Un invito a guardare in faccia e con realismo ai risultati: che cosa ci abbiamo guadagnato a mettere al centro il nostro “io”. Che cos’è la piaga della corruzione con tutti gli scandali che man mano andiamo a scoprire se non il frutto di questa ubriacatura dell’ “io”, della ricerca del mio benessere, continuamente disattenti alle esigenze del bene comune? “Che vantaggio c’è, chiede Gesù, che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita”, cioè perda in umanità, in dignità, in nobiltà?
Non saremo mica contenti di questo clima di chiusura e di sospetto? Come giudicare questa esaltazione dell’ “io” che ci ha resi indisponibili al rispetto di quelle regole che, sole, ci avrebbero permesso di uscire più in fretta dalla pandemia? Di fronte al continuo arrivo di profughi, possibile che ci si accontenti di ripetere “qui non li vogliamo”, senza farsi interpellare dai motivi che spingono queste persone a lasciare la propria terra? - Di fronte alla danza di Davide davanti all’arca la moglie Mical si vergognò di lui. Ma forse è di ben altro che dovremmo vergognarci: ad esempio di ciò che porta all’insensatezza, alla volgarità, ad una vita vissuta in superficialità.
Seguire Gesù certamente costa dal momento che amare costa. Sì, ma non c’è confronto. Pensare al solo star bene noi, genera egoismo, paura e chiusura. Essere disposti a perdere un po’ la propria vita per gli altri, per un bene che sia di tutti, significa averla in pienezza, in bellezza, in umanità.
VIII Domenica dopo Pentecoste 2021X Domenica dopo Pentecoste 2021
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