XI Domenica dopo Pentecoste 2021

  1. In questa afosa domenica di agosto la liturgia ci propone una riflessione sulla serietà della fede biblica. Il Dio della Bibbia, il Dio che Gesù di Nazaret ci ha raccontato, non è certamente un despota, un giudice implacabile e spietato, un sovrano dal cui sguardo scappare a tutti i costi. Lo abbiamo detto in tutti i modi. Abbiamo piuttosto preso consapevolezza della sua bontà incondizionata e universale. Proprio papa Francesco ci ha aiutato a scoprire che il suo nome è misericordia. Ma è a questo punto che le letture che abbiamo ascoltato ci mettono in guardia dal dare un’interpretazione banale e sbagliata, immaginando un Dio ingenuo e bonaccione, incapace di distinguere il bene dal male. E ci ricordano, per usare le parole che Elia rivolge agli israeliti radunati sul monte Carmelo, che non è lecito “saltare da una parte all’altra”, cioè che con il Dio della Bibbia non è possibile tenere il piede in due scarpe, che se scegli di servire lui, di seguire i suoi comandamenti, poi devi agire di conseguenza e non puoi permetterti scelte e comportamenti contraddittori.
  2. Raccogliamo qualche suggestione a partire dalle letture sulle quali vi inviterei a ritornare nei prossimi giorni. Anzitutto il lungo racconto del libro dei Re che narra di una sfida cui Elia convoca 450 profeti del dio fenicio chiamato Baal, signore, padrone. Elia parlava invece di un altro Dio, quello che gli ebrei avevano conosciuto nelle vicende dell’esodo, nella storia dei loro padri. Ciò che Elia denunciava era lo sport – molto moderno – di pensare che la vita di fede sia come andare al supermercato e poter riempire il carrello di un po’ di Vangelo e di disprezzo per gli altri, di devozione a Maria e di arroganza e superbia, di frequentazione della chiesa e disinteresse per il bene comune. “Fino a quando salterete da una parte all’altra?”.
  3. Ma poi non possiamo non arrivare al vangelo, che rincara la dose. Il racconto parla di un padrone e di una vigna che viene affidata a dei contadini disonesti e arroganti che non solo cercano di appropriarsi della vigna, ma addirittura uccidono i servi e il figlio del proprietario. È evidente che la parabola allude a come i capi del popolo di Israele, dopo avere rifiutato i profeti che Dio mandava al suo popolo per ricordare la responsabilità di coltivare un progetto che era di Dio e non era loro proprietà, finirono per rifiutare e addirittura eliminare fisicamente “il figlio, l’erede”. Con la conseguenza che quel disegno, quel progetto di bene, quella vigna, poi passò ad altri contadini – la chiesa – che non si potrà mai permettere di farla da padrona, di assumere atteggiamenti superficiali e presuntuosi che la rendono sorda agli appelli del padrone della vigna. Nulla e nessuno ci garantisce che il progetto-vigna di Dio un giorno possa passare ad altre mani, se di questo progetto-vigna non saremo fedeli servitori, se con presunzione e calcolo politico di questo progetto-vigna tenteremo di appropriarci dandogli contenuti che nulla hanno a che fare con il pensiero del padrone della vigna.
  4. Concludo. Mi sono chiesto quale fu il vero peccato dei vignaioli omicidi e mi sono risposto che forse non avevano capito niente. “Uccidiamo il figlio del padrone e avremo noi la sua eredità”. Certo, il peccato di quei contadini fu la pretesa di farla da padroni, l’appropriarsi della vigna, dei simboli della fede per farla diventare strumento di potere e farle dire cose che con la fede non c’entrano niente. Ma più in profondità il vero peccato era che non avevano capito che quel figlio, il Figlio Gesù di Nazaret era venuto per regalarcela l’eredità, non solo di un terreno da coltivare, ma di una vita diversa, più bella, la vita di chi scopre di avere Dio come Padre e dunque di poter costruire con gli altri esseri umani un mondo di fratelli. Questo era il progetto di quel padrone della vigna di cui Gesù ci ha parlato. Non averlo capito e continuare a non capirlo significa condannarsi a morte con le proprie mani, significa vivere e far vivere a quanti avremo attorno a noi una vita d’inferno.

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