- Il nuovo lezionario ambrosiano ha recuperato la più antica tradizione (III-IV sec) che vedeva nel Martirio di Giovanni Battista uno snodo decisivo. Questa festa si celebra il 29 agosto e l’organizzazione delle letture cambia logica: se da Pentecoste a domenica scorsa ci sono state presentate le diverse tappe della storia della salvezza – da Abramo al martirio dei fratelli Maccabei – in queste domeniche successive al martirio del precursore il messaggio che ritorna riguarda la novità portata da Gesù Cristo, una novità che non annulla quello che chiamiamo Antico Testamento, ma che dice verso dove l’AT portava, a che cosa doveva condurre. Una novità alla luce della quale la storia dell’antico Israele assume un colore assolutamente nuovo e che la lettera agli Ebrei descrive come la possibilità di una inaudita vicinanza al mistero di Dio: Dio e l’uomo ormai sono parenti stretti, Dio ha ammesso nel suo castello incantato l’umanità che lui stesso ha creato; il vasaio – per usare un’immagine della prima lettura – ha elevato alla sua dignità lo stesso vaso da lui costruito.
- Una vicinanza che però non deve indurci alla superficialità o alla faciloneria. “Questo popolo – dice Isaia – mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”; la sua religione “è un imparaticcio di precetti umani” (Lett.). È una fede giusta la nostra? O ci siamo fatti una nostra religione? Oggi la testimonianza del Battista ci dice che lo Sposo è giunto, che Gesù è il definitivo inviato da Dio: “Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa… chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui”.
- Parole dure, inquietanti che già Isaia aveva anticipato. “Imparaticcio di precetti umani” è certamente oggi una fede che vive di devozioni per madonne, santi, rivelazioni private, e tutte le coroncine e novene che riempiono quella religione popolare che non è in sé male, ma che ha bisogno di registrarsi su quanto Dio ha stabilito per giungere a noi e noi a Lui, per farci vivere la vicinanza di cui parla la lettera agli Ebrei. Certamente poi imparaticcia è una fede distaccata dalla vita, quella di “coloro che agiscono nelle tenebre dicendo: Chi ci vede? Chi ci conosce?” (Lett.), facendo affari in mezzo a corruzione, violenze e a quell’ateismo pratico che è l’indifferenza nei confronti dei doveri verso gli altri. O che, imbevuto di cultura scientista, nega ogni riferimento a Dio, vive come se Dio non fosse, e pensa: “Non mi ha fatto lui, Dio non capisce” (Lett.) i nostri veri problemi della vita. Ma dice Isaia: “Perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti” (Lett.).
- Dopo queste parole dure, una parola calda ed appassionante: lo Sposo. Tutti i profeti hanno presentato Jahvè come lo Sposo del suo popolo per aver stretto con esso un’alleanza. Ma con il Battista siamo ad una svolta: Dio in persona è giunto a noi nel suo Figlio, al quale “il Padre ha dato in mano ogni cosa”, perché sia la rivelazione piena e ultima del suo disegno e della sua opera santificatrice. “Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito”. E afferma il Battista: “Non sono io il Cristo, io sono stato mandato avanti a Lui”. Lui, Gesù, è lo Sposo e io ne sono l’amico che gioisce perché finalmente è qui. E lo indica a dito: Ecco l’Agnello di Dio! “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”. “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”. San Paolo oggi lo conferma: “Ci siamo accostati a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele” (Epist.). Aderire a Cristo non è un optional soggettivo: “Non troveremo scampo se volteremo le spalle a Cristo” (Epist.).
- Non possiamo però chiudere questa riflessione senza ricordare che il 31 agosto di 9 anni fa moriva il Card. Martini. Ci sono due passaggi nelle letture di oggi che mi hanno fatto pensare al Card. Martini.
Il primo è nella pagina di Isaia, laddove il profeta riporta una parola di Dio di denuncia: “… la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”. Ricordo quando il Card. Martini invitava a passare da una fede di convenzione ad una fede di convinzione. E per farlo incoraggiava a trovare nella Parola di Dio la fonte per questo salto di qualità.
Il secondo lo trovo nelle straordinarie parole di Giovanni Battista che nel rapporto con Gesù dichiara “lui deve crescere, io diminuire”. È ciò che ha fatto il Card. Martini, che ha vissuto al servizio della Parola perchè questa crescesse nella coscienza dei cristiani, senza alcuna dipendenza carismatica. E fu così che al compiere dei 75 anni interruppe il suo ministero, e fu così che accettò l’umiliazione di lasciare l’amata Gerusalemme non appena la malattia lo richiese.
Nel dire tutto il nostro grazie a Dio Padre che ce lo ha regalato per più di venti anni come pastore di questa chiesa milanese, rinnoviamo la nostra disponibilità ad una esperienza di fede basata anzitutto sulla conoscenza e sulla frequentazione della Parola di Dio. Anche a partire dal prossimo anno pastorale.
XIII Domenica dopo Pentecoste 2021II Domenica dopo il martirio di San Giovanni il precursore 2021
Lascia un commento