V Domenica dopo il martirio di San Giovanni il precursore 2021

  1. Leggendo questi brani della Parola di Dio mi viene da pensare che chi li ha scelti ha voluto offrire – sia per l’antico che per il nuovo testamento – due pagine che più di ogni altra dicano dove sta lo specifico della fede nel Dio che prima si è rivelato attraverso la storia dell’Esodo e di Mosè, poi attraverso la figura di Gesù di Nazaret. È come se alla ripresa un po’ di tutte le attività di una parrocchia si volesse mettere sotto i riflettori il nucleo incandescente della nostra esperienza religiosa.
  2. E allora andiamole a guardare queste pagine per farci riscaldare il cuore, per farci illuminare la mente. E mi piace iniziare con la prima lettura, con quell’ “ascolta, Israele”, forse la più grande e fulminante dichiarazione di chi è l’uomo e dunque di ciò che gli permette di vivere bene. E ci viene detto anzitutto che abbiamo un Dio, che siamo fatti per alzare lo sguardo, per guardare verso il cielo, non per stare sempre con gli occhi rivolti verso terra. Non è anzitutto un comando, ma primariamente una dichiarazione, una dichiarazione d’amore che – ricordate Gianni Morandi? – certo, ha i suoi comandamenti, le sue regole, i suoi impegni. “Ascolta… il Signore è uno”. Non siamo noi i padroni del mondo, solo il Signore è il vero Dio, ma non ci considera sudditi o schiavi. Non va temuto come un sovrano, ma va conosciuto, amato, venerato.
  3. Dunque, va amato. “Amerai il Signore con tutto il tuo cuore, la tua mente, le tue forze”. Ma non si ama senza conoscere. Per questo bisogna riconoscerlo nel suo progetto, nel suo disegno. Si ama Dio solo quando ci si appassiona della sua decisione inspiegabile di creare, di generare al di fuori di sé un essere libero come l’uomo. Talmente libero da poterlo rifiutare, un uomo libero persino di distruggere la propria vita e quella altrui. Che cosa conosciamo di questo progetto? Che cosa facciamo per approfondire la nostra competenza biblica? Approfitto delle varie occasioni che mi vengono offerte per conoscerlo e così innamorarmi di lui?
  4. E già questo sarebbe abbastanza impegnativo. Peccato che la cosa non finisce qui. Dal momento che amare Dio, il suo progetto, significa anche riconoscerlo come fonte della vita, padre di tutto e di tutti. Peccato che riconoscerlo come Padre comporta un prezzo molto caro: quello di saper guardare ad ogni uomo come ad un fratello. E Dio solo sa quanto sia difficile riconoscersi e vivere come fratelli, a partire da Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, … “Amerai il Signore Dio tuo … amerai il prossimo tuo”: due facce di una stessa medaglia. Chiamati ad alzare lo sguardo, ma contemporaneamente chiamati a fissare gli occhi di chi mi sta accanto, di chi condivide con me l’avventura umana. Potrebbe sembrare scontato, ma lo sappiamo bene che così non è. Che da sempre gli uomini hanno cercato di trovare tutte le scuse per stabilire classifiche e categorie. Anche il protagonista della pagina del Vangelo cercò di fare il furbo: “chi è il mio prossimo?” come a dire “di chi mi devo occupare e di chi no? Con chi mi devo sentire in obbligo? Chi è dei miei, dei nostri?”. Insomma, come si fa ad “amare il prossimo come se stessi”, cioè a considerarlo della propria famiglia. Come si fa ad amare il prossimo solo per il fatto che esiste?
  5. E come a voler rincarare la dose, come a evitare qualsiasi scappatoia, ecco che Gesù racconta la parabola del samaritano con la quale sembra dirci: se credi nel Dio della Bibbia non ti sarà più lecito distinguere gli uomini tra quelli che meritano la tua vicinanza e quelli di cui ti puoi disinteressare; due sono i criteri che ti impongono di farti prossimo, di avvicinarti a chi è diverso da te: anzitutto il fatto che sia un uomo e poi il fatto che sia un uomo ferito. Basta, non c’è bisogno di altre motivazioni. “Un uomo scendeva …”: non si dice altro, non si sa nulla sulla nazionalità, sulla religione, neppure sul fatto che fosse o meno una brava persona. Chissà, magari era un delinquente … Gesù non lo dice. Dice che era un uomo e che era ferito, bisognoso di cura. Questo era sufficiente perchè ci si avvicinasse a lui. Il levita e il sacerdote non lo fecero: erano uomini religiosi, pregavano, studiavano le Scritture, frequentavano il Tempio, ma questo non li rendeva più umani. E allora è chiara la polemica di Gesù – polemica un po’ anticlericale nei confronti di quel modo di vivere la religione che non ti rende più umano, che non ti provoca ad avvicinarti agli altri in difficoltà.
  6. All’inizio di un anno pastorale compiamo due gesti. Il primo è quello di consegnare un fascicolo dal titolo “Rimettiamoci in gioco” con il quale proviamo a dire in che modo educarci al nucleo incandescente del cristianesimo che è l’amore per Dio e per i fratelli. Il secondo è il conferimento del mandato a quella che chiamiamo la “comunità educante”, l’insieme di coloro che – seppure con strumenti e linguaggi diversi – si rendono disponibili a questa azione educativa, per questa cura. Non sprechiamo l’opportunità che la provvidenza ancora una volta ci mette tra le mani. Sarà questo il nostro modo di dare speranza al nostro mondo immerso nelle tenebre di un egoismo e di una ingiustizia che ci rendono la vita insopportabile. Incominciamo col poco: l’amore “di buon vicinato”, con la famiglia che sta sul nostro pianerottolo!

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