Rimettiamoci in gioco per una chiesa UNITA …
Per il mondo che ancora non conosce il Signore
- Il titolo di questa seconda domenica di Avvento dice “i figli del Regno” e dunque parla di noi, che del Regno di Dio, cioè del suo disegno sulla storia e su ciascun uomo e donna, vogliamo essere consapevoli ed appassionati collaboratori. Si parla di “figli” e l’imperativo di Isaia e di Giovanni Battista è al plurale: “preparate”. Si parla di un Dio che vuole entrare in relazione con ciascuno di noi, ma solo se riusciamo a sentire di essere un popolo, una comunità, una nazione. Mai da soli. Da soli non si va a Dio, da soli non si preparano le vie di Dio, perché quando Dio entra nella storia la vuole cambiare, cioè vuole cambiare il modo con cui gli uomini vivono insieme. Ecco perché le vie del Signore vanno preparate insieme, visto che le vie di Dio hanno a che fare con un modo diverso di stare insieme, di essere società.
- La questione è sul “come”, come prepararle; che cosa significa preparare, accelerare il ritorno del Signore nella gloria? O meglio, la questione è a quali condizioni si diventa capaci di preparare le vie del Signore. A partire dalle letture di oggi proverei a rispondere che si diventa capaci di preparare il ritorno del Signore ad una condizione: avere intuito quelle che Paolo chiama “le impenetrabili ricchezze di Cristo … il progetto eterno … la libertà di accedere a Dio in piena fiducia”. Fino a quando non ci si appassiona di questo “progetto eterno”, fino a quando Dio sarà uno spaventapasseri, uno da cui difendersi, una minaccia, … non saremo mai dei “preparatori” delle sue vie, ma solo dei sudditi terrorizzati e tristi. Noi dobbiamo decidere se da Dio vogliamo scappare o se non vediamo l’ora di incontrarlo.
- A questo punto – e ci viene in aiuto Isaia – possiamo scoprire in che cosa consista “preparare le vie del Signore”, accelerare la sua venuta, anticipare il suo ritorno. La riflessione di Isaia che oggi leggiamo un po’ distrattamente, quando veniva scritta certamente faceva sobbalzare sulla sedia chi la leggeva. Pensate: Isaia immagina che l’Egitto e l’Assiria serviranno il Signore, cioè crederanno in lui. Ma Egitto e Assiria a quel tempo rappresentavano i peggiori nemici di Israele. L’Egitto ricordava i secoli di schiavitù prima dell’esodo. L’Assiria aveva da pochi anni devastato il regno del nord deportando gli abitanti a Ninive. Le parole di Isaia non potevano non suscitare scalpore: era come se agli ebrei tedeschi alla fine degli anni 30 dello scorso secolo si fosse annunciato che la Germania sarebbe diventata una nazione credente e amata da Dio … Per dire che la speranza che veniva proposta a Israele – come la speranza che il tempo di avvento vuole instillare nel cuore dei cristiani – è una speranza difficile, una speranza incredibile, che non può scaturire spontaneamente dal cuore dell’uomo. Come si fa ad invitare il popolo francese (e con lui, un po’ tutto l’occidente), colpito dagli attentati terroristici del Bataclan esattamente sei anni fa, a sperare che un giorno possa convivere in pace con il cd Stato Islamico? Come si fa a convincere i palestinesi cristiani che il Signore ama anche il popolo dello Stato di Israele che occupa da più di 50 anni le sue terre e che il suo disegno è quello di coinvolgere anche lui nella sua salvezza?
- Ecco allora la finale di Isaia: “In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra”. Essere come il terzo lo possiamo anche definire essere l’intercessore, colui che cammina in mezzo ai due contendenti, con una mano sulla spalla dell’uno e una dell’altro. Non uno che si tira fuori dal conflitto, ma che ha il coraggio di abitarlo e di farlo con fede. I veri credenti, i “figli del Regno”, sono quelli che pensano possano accadere le cose che nessuno avrebbe mai detto, solo perchè è la Parola di Dio a proclamarle. È necessario crederci ed è necessario volerlo. Appassionarci nel trasformare le strade di ostilità in strade di comunicazione, riscoprendoci figli di un Dio per il quale persino l’Egitto e l’Assiria sono suoi popoli.
- In questo Avvento vogliamo “rimetterci in gioco” nell’edificare una chiesa unita, dunque per un lavoro da fare insieme, dentro una esperienza comunitaria, per essere credibili e simpatici agli occhi di quanti ancora non conoscono il Signore. Prepareremo insieme le vie del Signore rendendole affascinanti anche per quanti oggi non se lo immaginano neppure di avere un Dio che ha pensato anche a loro e li ama nelle loro differenze e peculiarità.
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