- “Se tu squarciassi i cieli …” invocava il profeta Isaia nei giorni ormai lontani del tempo di Avvento. Ebbene la festa del Battesimo di Gesù nel Giordano di questo parla, di una invocazione che finalmente trova compimento. Già i cieli si erano squarciati nella notte di Betlemme quando ai pastori era stato annunciato un Dio benevolo. In un certo senso i cieli si erano squarciati anche nell’epifania grazie a quella stella che li aveva attraversati per accompagnare i magi ad inginocchiarsi davanti al bambino. Ora, anche oggi è epifania: anche oggi Dio si svela, si manifesta, si fa vedere. E ancora una volta non nella forma di una potenza arrogante: semmai in quella di una fragilità sconcertante. Quella di un uomo in coda per un gesto di conversione. Non deve essere stato facile, badate bene, far digerire alla prima comunità cristiana questo episodio che però tutti e quattro gli evangelisti raccontano concordemente. Poteva scandalizzare che il Figlio di Dio, quello che aveva condiviso in tutto la vicenda umana fuorché nel peccato, ora nella sua prima uscita pubblica, venisse presentato intento a partecipare ad una celebrazione penitenziale. Era il primo gesto pubblico, ma nessun effetto speciale, le acque non si aprono come era accaduto agli ebrei in fuga dall’Egitto. Ma, dice Luca, “il cielo si aprì”: tra Dio e l’uomo si era riaperto un canale di comunicazione. Quell’uomo venuto da Nazaret, che si immerge con tutti nelle acque, sembra inaugurare tempi nuovi, tempi dei cieli aperti. Da quello squarcio nel cielo ci è dato di contemplare uno sguardo benevolo, rassicurante di Dio: quando alzi gli occhi, ti arriva una voce che puoi ascoltare. Quando parli, sei ascoltato. Non per nulla Luca nota che appena Gesù uscì dalle acque del battesimo, “stava in preghiera”.
- Da quei cieli squarciati, secondo Luca, venne una voce: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Quella voce tornerà ancora, nella Trasfigurazione, ma si rivolgerà ai discepoli “Questi è il mio Figlio …”. Nel battesimo la voce è rivolta a Gesù, quasi a confermare l’intuizione che Gesù adolescente aveva avuto quando si era smarrito tra i dottori: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Nel battesimo è come se questo Padre – all’inizio della missione di Gesù – volesse rassicurare l’uomo venuto da Nazaret, circa la sua identità. Quel giorno Gesù, mettendosi in coda coi peccatori, strappa al Padre sia una dichiarazione di identità, sia una dichiarazione di approvazione. Se fai il Messia in questo modo io ne sono orgoglioso e compiaciuto! Bravo, continua così. Interessante: non nei momenti di successo con le folle che accorrevano a lui. Non in occasione dei miracoli più spettacolari o degli insegnamenti più alti. Il Padre si compiace del modo con cui Gesù è Figlio quando accetta l’equivoco di mescolarsi tra i peccatori. D’altronde, tutta la sua esistenza sarà segnata da questa ingombrante compagnia: dai pastori che per primi accorreranno alla grotta, fino ai due ladroni in mezzo ai quali finirà crocifisso, lui che sarà accusato di essere “un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”.
- Per venire a noi. Forse il gradimento di Dio su di noi non sarà nei giorni in cui prenderemo le distanze dagli altri, bensì in quelli nei quali ci sentiremo poveri e bisognosi di conversione, compagni senza distinzioni dell’umanità debole e fallibile, membri della grande carovana dell’umanità. Questa strada, e non un’altra, è quella cui destiniamo un bambino quando decidiamo di battezzarlo nel nome di Gesù di Nazaret, il Figlio di cui il Padre si compiace. Se per lui auspichiamo non la condivisione ma il privilegio, non l’immersione ma la distanza, non uno stile mite ed umile ma altezzoso e sprezzante, allora forse quel bambino non dovremmo mai battezzarlo, perché ben altra è la via cui il battesimo di Gesù introduce.
Il messaggio di Papa Francesco per la LV giornata della Pace 2022Comunicato sfratti 2022
Lascia un commento