- E anche oggi la liturgia ci parla di una manifestazione, anche oggi è epifania. Lo fa in particolare il vangelo di Giovanni che chiude il racconto del segno di Cana con le parole appena ascoltate: “questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Non si parla di miracolo, ma di segno, per dire che quello che accadde a Cana fu una specie di anticipazione, di aperitivo, giusto per stare nel linguaggio eno-gastronomico. Una anticipazione di quella gloria che esploderà pienamente in quell’ora in cui Gesù mostrerà la sua gloria, quella della croce, quella del sepolcro vuoto, quella della risurrezione, mistero che ha riguardato Gesù, ma che è anche destino riservato ad ogni uomo e ad ogni donna, come spiega Paolo nella lettera agli Efesini: “In lui – in Gesù – siamo stati fatti anche eredi, predestinati a essere lode della sua gloria”.
- Bastano questi pochi cenni per capire che il racconto di Cana è molto più che una bella storiella edificante, da catechismo. C’è piuttosto di mezzo una riflessione sul senso della missione di Gesù, di quel bambino di Betlemme che abbiamo appena celebrato a Natale. Quel bambino-figlio di Dio, venuto per inaugurare i tempi del Messia. In questo ci aiuta sia l’immagine del banchetto che quella del vino. In tutto l’AT non troviamo immagine più eloquente per parlare di ciò che attende l’umanità che quella di un sedersi a tavola e di avere Dio come commensale. È solo un’immagine, certo, ma che parla di condivisione, di pacificazione, di comunione, di giusto benessere. E allora si capisce come mai Gesù stesso, le cose più importanti della sua vita, le ha fatte a tavola – dal farsi mettere in una mangiatoia appena nato, fino a quell’ultima cena in cui si offrirà come cibo (prendete, mangiate, questo è il mio corpo) – quasi a voler confermare che con lui cominciava il banchetto di Dio con gli uomini. Ma dicevamo anche dell’immagine del vino che parla di gioia, di allegrezza. Come si fa a mangiare assieme, a festeggiare, senza bere un buon bicchiere di vino?
- Ma attenti bene. Gesù porta un vino nuovo, che salva la vita dell’uomo dal rischio di una gioia sempre incerta, sempre provvisoria. A dire che il nostro vino è sempre a rischio di finire, che anche le gioie più belle – pensate quelle legate alla vita coniugale – non sono mai garantite per sempre. In più il vino di Gesù, quello buono ed esageratamente abbondante (600 litri!), Gesù lo offre trasformando l’acqua contenuta in anfore usate per i riti di purificazione. Anche qui a dire che la nuova religione che con Gesù veniva inaugurata, non poteva accontentarsi di gesti di rinuncia, di riconoscimento dei nostri peccati, di sacrifici, … ma proponeva una marcia in più, un modo totalmente nuovo di pensare al nostro rapporto con Dio. Non più da sudditi, ma da coniugi: Gesù si presenza non come il Dio-padrone, ma come il Dio-sposo-innamorato perso della sua amata che siamo ciascuno di noi. Ma mi viene sempre la domanda se come Chiesa e singoli credenti diamo questa immagine a chi è lontano dalla fede o non appunto un’idea di cristianesimo degli obblighi e dei precetti?
- Non posso concludere questa riflessione senza osservare che in questa rivoluzione della religione le donne hanno avuto un ruolo decisivo. Anzitutto con la figura di Ester, ragazza ebrea, orfana che ha la ventura di diventare moglie del re di Persia e che decide di giocare il suo fascino femminile per salvare le sorti della sua gente minacciata di eliminazione a causa di un progetto che rifiutava quanti avevano abitudini e stili di vita diversi da quelli dei persiani. Interessante la nota temporale con cui si apre il racconto, “il terzo giorno”, che se leggete il Vangelo di Giovanni, introduce anche il racconto di Cana, e che evoca l’inizio di qualcosa di assolutamente nuovo. Alla figura di Ester non possiamo non affiancare quella di Maria, la madre di Gesù, che appare qui e che apparirà nell’ora ai piedi della croce, e che in tutto il Vangelo di Giovanni dice solo queste parole: “qualsiasi cosa vi dica fatela”. È lei che si accorge della mancanza del vino, che conosce la fragilità della gioia degli uomini, ma è sempre lei che ci indica come sopperire a questa mancanza: rivolgendo il nostro sguardo a Gesù, invitandoci ad ascoltarlo e ad obbedire alla sua Parola. In fondo il cristianesimo sta tutto qui. A noi il compito di innamorarci di questa splendida sobrietà e di obbedire a quanto Maria ci suggerisce.
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