1. Forse può essere utile far passare queste prime domeniche dopo l’Epifania che parlano di come Gesù si è manifestato, si è fatto vedere, allo scopo di rispondere alla domanda: chi è quel bambino nato a Betlemme, adorato dai pastori come un Dio?
- Epifania: apertura a tutti gli uomini della salvezza
- Prima domenica dopo l’epifania: un Dio che si manifesta solidale con una umanità fragile e peccatrice nel battesimo del giordano
- Seconda domenica dopo l’epifania: un Dio amante della felicità dell’uomo, un Dio che vuole essere sposo dell’umanità
- Terza domenica dopo l’epifania: un Dio che si prende cura dei bisogni materiali dell’uomo, che gli dona un cibo prefigurazione di quel cibo che sarà lui stesso.
2. La pagina centrale è certamente quella del Vangelo dove Gesù dice esplicitamente “sento compassione per la folla”. Al cuore c’è la sua misericordia, il suo avere a cuore la miseria delle folle che lo seguivano. E a partire da questa “compassione” ecco il miracolo che abbiamo sempre chiamato della “moltiplicazione” dei pani e dei pesci, anche se il verbo moltiplicare non appare mai nel racconto. Possiamo dire piuttosto che la bellezza di questo segno è che Gesù non moltiplica propriamente del cibo, bensì la disponibilità di alcuni a prendersi cura della fame altrui. A volte quando preghiamo prima di mangiare ci capita di dire “benedici Signore il cibo… e danne a chi non ne ha”. E così finiamo quasi per dare a lui la responsabilità della fame nel mondo e non ci assumiamo la nostra, il dovere di sporgerci oltre la nostra fame, affinchè tutti siano saziati. Noi che partecipiamo all’Eucaristia celebriamo la nostra disponibilità a sporgerci nella vita, oltre la nostra fame. Il vero miracolo nel racconto del Vangelo di oggi inizia quando il “mio” pane diventa il “nostro” pane, quando le parole del Padre nostro diventano vere: gli altri sono fratelli di cui sentire responsabilità e il pane quotidiano che invochiamo dal cielo è “nostro” e dunque da condividere, un pane che nessuno può arraffare egoisticamente.
3. Ma le cose nella storia non sono andate proprio in questo modo. A partire da quello che chiamiamo “peccato originale” che altro non è se non un peccato di ingordigia, il rifiuto di ogni limite, la pretesa di mangiare tutto, subito, da soli. Il Dio di Israele ci aveva provato a correggere questo virus e la pagina del libro dei Numeri ci racconta del popolo che sta per entrare nella terra che Dio voleva “dare agli Israeliti”. Una terra ricca (latte e miele, uva, melagrane e fichi), ma appunto una terra “donata”, non una terra conquistata, non una terra di proprietà. Dio stesso non perderà occasione nell’AT per ricordare che “la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23). Una affermazione che potrebbe condurre a mettere in discussione – almeno per noi credenti – persino l’assolutezza del diritto alla proprietà privata. Un’affermazione che deve sconfiggere ogni atteggiamento da padroni rispetto ai beni che la vita ci mette a disposizione. Israele non meritava la terra più di quanto la meritassero gli altri popoli. Se Dio lo aveva benedetto era perchè quella benedizione in qualche modo fosse condivisa. Dimenticare questa universale destinazione dei beni è la radice di ogni male, di ogni conflitto, di ogni sofferenza.
4. Con il miracolo dei pani e dei pesci che di fatto è una anticipazione del racconto dell’eucaristia (cfr. i verbi: prese i pani, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli…) Gesù ci introduce in un mondo nuovo, un mondo che ancora non esiste, e che i suoi discepoli, quelli che partecipano all’eucaristia domenicale, sono tenuti ad anticipare. Un po’ come chiedeva Paolo ai cristiani delle comunità greche. Erano di origine pagana, erano di condizione economica dignitosa, mentre i cristiani di Gerusalemme, di origine ebraica, versavano in una grande povertà. E così chiede che si realizzi una colletta alla quale dedicherà diverse pagine delle sue lettere, che chiamerà “servizio sacro”, quindi “liturgia”, una colletta non solo per fare un’elemosina, ma per dimostrare che la fede in Gesù rendeva tutti figli di uno stesso Padre, tutti fratelli, malgrado si provenisse da mondi completamente diversi. Se il Vangelo fosse riuscito a far toccare il portafoglio “non con tristezza, non per far piacere a lui” – pensava Paolo – allora era il segno che il Vangelo aveva la forza di trasformare le persone e di immettere nel loro cuore lo stile stesso di Dio, un Dio generoso ed esagerato nell’amore per gli uomini.
5. In Expo come Caritas avevamo una piccola installazione. Lo slogan era “dividere per moltiplicare” a dire che la ricchezza al mondo c’è, il cibo è talmente sovrabbondante che ne sprechiamo quantità scandalose. Dunque, che una ricetta esiste se solo vogliamo un futuro per il mondo che sia un futuro di bene per tutti. E cioè che questa ricchezza impariamo a dividerla con quanti vivono in povertà e penuria, non per metterci noi in uno stato di ristrettezza, ma per sperimentare il potere di moltiplicazione insito in ogni gesto di condivisione. Bisogna solo provare per credere.
Lascia un commento