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IV Domenica di Quaresima – del cieco
- L’itinerario che la quaresima ci fa compiere riguarda l’idea giusta di Dio prima ancora che qualche rinuncia o sacrificio. Ne abbiamo fatto una questione di digiuno da questo o quel cibo, perdendo di vista che il vero digiuno riguarda gli idoli, cioè il modo sbagliato di pensare a Dio (v. l’arroganza dei giudei di domenica scorsa che li portava a non sapere accogliere la verità su Dio raccontata da Gesù).
L’episodio del libro dell’Esodo non è molto lontano dal nostro vissuto. Gli ebrei non se ne facevano una ragione che la strada della libertà fosse così ardua e faticosa (la fame, la sete, le disillusioni, i nemici, la fatica dell’andare) al punto di arrivare a far crescere la domanda: “Ma Dio è in mezzo a noi sì o no?”. Cercavano il dio che ti risolve i problemi a buon prezzo, che ti risparmia la fatica del vivere, che ti riempie la pancia anche se ti svuota il cervello. E così arrivavano a rimpiangere le cipolle d’Egitto, la schiavitù comoda, rifiutando la scomoda libertà. Analogamente a ciò che succede in molti paesi di antica tradizione democratica: una democrazia faticosa, che ha bisogno di una politica matura, libera da slogan gridati che parlano alla pancia della gente. E così si finisce prima per disertare le urne e poi per sognare il condottiero che guidi carismaticamente ed autoritariamente i nostri popoli …
A quella lamentela Dio nell’Esodo risponde con l’acqua che scaturisce dalla roccia e che permette di riprendere coraggio nel cammino verso la libertà.
Ma di acqua si parla anche nel Vangelo di oggi, quella nella quale deve lavarsi il cieco nato, acqua di Siloe che significa “inviato”, come a dire che è Gesù l’inviato da Dio capace di dissetare le nostre seti e lavare i nostri occhi dalla pesantezza e dal soffocamento di ogni schiavitù.
Nel racconto di Giovanni a far da contrasto con gli occhi del cieco che si aprono ci sono occhi appesantiti degli altri protagonisti dell’episodio che diventano pozze di buio.
- Mi riferisco agli occhi dei discepoli, incapaci persino di provare compassione per la sofferenza del cieco. Ottenebrati dalle idee sbagliate su Dio, frutto della loro educazione religiosa che li portava a cercare chissà quali colpevoli per quel male: “Chi ha peccato…?”. E Gesù che si irrita, “ma smettetela di blaterare su cose che non stanno nè in cielo nè in terra”. Di fronte al male si può fare una cosa sola, “fare le opere di Dio”, continuare la sua creazione, riparare i danni che si sono prodotti. Ricordate: la prima opera della creazione fu “sia la luce” e Gesù la continua dando a quell’uomo la luce degli occhi, ripetendo il gesto di Dio che fece del fango …
Dunque, bando ad ogni discorso vano sulla religione, su Dio. Paolo nell’epistola chiede di stare con gli occhi aperti, di non lasciarci addormentare da concezioni di vita tanto illusorie quanto narcotizzanti, di essere svegli rispetto alla banalizzazione della vita che in questi anni si è intrufolata nelle nostre coscienze devastandole e sostituendo i sogni nobili con gli ancheggiamenti delle veline, coi discorsi vacui dei pomeriggi televisivi, con la visione rampante e furbesca di una politica che per troppo tempo ha premiato più la genialità degli spot elettorali che non i contenuti e l’onestà delle persone.
- Ma ancora più inquietanti nel racconto sono gli occhi dei giudei che si trovano a confrontarsi con il fatto inaudito di un cieco nato guarito. Invece che farsi prendere dallo stupore che cerca di capire, in loro domina il pregiudizio ideologico: la guarigione è avvenuta di sabato, fare del fango è operazione proibita di sabato, Gesù è un peccatore, non viene da Dio. Erano gli uomini della religione e accettare di riconoscere il miracolo poteva significare perdere potere, perdere la faccia. E allora si stravolge la realtà, la si nega, si denigra il cieco guarito (sei nato nei peccati: come ti permetti di criticarci). Ancora una volta, vedete, c’è di mezzo un’idea sbagliata su Dio con la presunzione di essere noi i difensori di Dio. Fino al punto di chiudere gli occhi sulla realtà.
- In netto contrasto con questi occhi chiusi abbiamo gli occhi spalancati di colui che fu cieco, il mendicante capace di fronteggiare i capi del popolo, al punto quasi da irridere l’arroganza delle autorità religiose. La luce della fede si accompagna sempre con uno stile di franchezza e di libertà. Quell’uomo non fu guarito solo nel fisico menomato: in lui si accese la luce della fede, quella che gli permise di riconoscere in carne ed ossa l’ “inviato” di Dio, la dimostrazione che Dio, diversamente da quanto dissero gli ebrei nel deserto, “è in mezzo a noi”.
Indicazione preziosa per quanti nella chiesa operano in ambito caritativo per continuare l’opera di Dio. La carità deve essere accompagnata dal racconto dell’evento di Gesù Cristo. Dobbiamo vivere la convinzione che l’uomo cerca l’amore di Dio e non solo il nostro che sarà sempre piccola cosa. Dobbiamo essere convinti che in ogni situazione, anche la più disperata, l’annuncio della lieta notizia del Regno è una grande forza di liberazione, perché restituisce agli oppressi il primo dei beni da cui vengono derubati: la loro dignità, condizione indispensabile perché gli uomini curvi e umiliati si alzino in piedi.
La nostra solidarietà può solo rendere credibile quella di Dio – quella di cui gli uomini hanno bisogno -, visibilizzandola, facendola toccare con mano, ma non sostituirla.
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