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Domenica delle Palme – Messa delle palme
- Quelli che oggi iniziano sono i giorni più importanti per noi cristiani e dunque per un parroco e i suoi parrocchiani. È come se tutto il cammino di un anno è attratto da questi giorni che chiamiamo della “settimana santa”, della “settimana autentica”. Come dire che fino a ieri abbiamo scherzato, ma adesso si fa sul serio! Giorni decisivi, perchè se non ci fossero stati questi giorni nessuna festa, neppure il Natale, avrebbe valore. Se non ci fossero stati questi giorni noi non avremmo la sicurezza che Dio ci ama per davvero, che lui è più forte di ogni male e che non siamo condannati a chiuderci nel nostro egoismo. Dopo questi giorni, si può rischiare di non pensare solo a noi stessi, ai nostri interessi. Dopo questi giorni, persino la morte smette di farci così paura!
- Allora dobbiamo viverli bene questi giorni. A partire da questa domenica che chiamiamo “delle palme” e che ricorda l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme a pochi giorni della sua morte e della sua resurrezione. E finalmente, dopo tre anni, oggi siamo potuti tornare a celebrare questa “domenica delle palme” con una processione – certo più modesta rispetto a quella cui eravamo abituati – ma che ci permette di pensare un po’ a tutta la nostra vita come ad un
- camminare
- con Gesù
- verso la sua e la nostra Pasqua
- Dunque, un “camminare”. Contro ogni cristianesimo salottiero o ancorato alla nostalgia di quando eravamo giovani, la Domenica delle Palme ci ricorda che non ci è lecito vivere di rendita, pensare che la fede sia qualcosa di acquisito una volta per sempre. Pensate: chi avrebbe mai immaginato lo scombussolamento che la pandemia ha portato, anche solo dal punto di vista della pratica religiosa. Come mai, da quando le chiese furono chiuse, un numero impressionante di amici e amiche che eravamo abituati ad incontrare la domenica a messa non li abbiamo più visti? E poi, chi avrebbe immaginato che nel cuore dell’Europa cristiana, dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale, si potesse arrivare ad un conflitto incomprensibile come quello cui stiamo assistendo? Come cristiani, quale giudizio dare non solo alla guerra, ma anche al commercio delle armi? Fino a dove può arrivare la legittima difesa nei confronti di un ingiusto aggressore? Ecco chi è il cristiano: colui che non si meraviglia di dovere trovare sempre nuove risposte ai grandi perché della vita umana e che proprio a partire dalla sua fede si lascia mettere in discussione. Questo significa “camminare”. Per questo oggi siamo venuti in chiesa camminando insieme.
- Ma il nostro è un camminare “con Gesù”. Che significa che non siamo soli, condannati a fare fatica senza sapere perché, senza sapere per chi. Gesù, nella sua missione, ha sempre “camminato con …”. Coi discepoli, con la folla quel giorno a Gerusalemme, con i due di Emmaus dopo la sua Pasqua. Camminare con Gesù significa non essere da soli, sapere che anche Lui è passato attraverso le incertezze e le fatiche della vita, significa fare di tutto perché cresca una amicizia, una intimità, una comunione con Colui che solo può dare senso al nostro camminare. Una amicizia e una intimità da nutrire attraverso la messa della festa e la preghiera. Senza un minimo di frequentazione, lo capite, diventa difficile poter parlare di amicizia e di intimità. Senza la messa della festa e la preghiera il Signore Gesù continuerà a camminare con noi, solo che noi non ce ne accorgeremo.
- “Verso la sua e la nostra Pasqua”: Gesù non entra a Gerusalemme per chissà quale incoronazione mondana, ma per salire su un trono che sarà la croce, per ricevere una corona, ma che sarà di spine. La scena raccontata dal Vangelo la conosciamo bene. Ma è bello leggere il commento di Giovanni: “i suoi discepoli al momento non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato (= fu crocifisso) si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte”. Non compresero perchè anche loro forse si aspettavano un modo diverso di far vedere la potenza, la forza, la regalità. Dovevano capire bene che Gesù era re, ma un re molto diverso. Un re mite, non violento, ma pacifico e pacificatore. Dunque, un re difficile, un re scomodo, perchè ad essere suoi sudditi poi si finisce per diventare un po’ come lui, disposti a dare la vita più che a prenderla.
- Andiamo dunque a celebrare i giorni centrali della nostra fede, ma andiamoci disposti a lasciarci sorprendere da questo Dio esageratamente diverso da come ce lo siamo sempre immaginato. Un Dio che vuole entrare a casa nostra, diventare nostro commensale, nostro amico intimo, ma che non sopporta di farlo imponendosi e dunque bussa discretamente, in punta di piedi, come Gesù quel giorno a Gerusalemme, in groppa ad un somaro. Un Dio che arriverà a farsi cibo per noi, a farsi mangiare da noi e che, per dimostrarci di volere essere nostro amico fino in fondo, verrà a cercarci fino nei luoghi dove si è più lontani da lui: la morte, gli inferi. Ma un Dio che esagererà nel lasciare vuoto per sempre il sepolcro in cui la nostra cattiveria lo aveva posto per dirci che anche se siamo cattivi ci offre la possibilità di una vita nuova e inimmaginabile, che già da ora ci è possibile vivere in attesa di vederla esplodere nella festa eterna che tutti ci attende.
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