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- Era il sogno ultimo di Gesù, il suo pallino, la sua mania irriducibile: l’unità dei discepoli, l’unità di coloro che avrebbero creduto in lui, primo motivo di credibilità di fronte al mondo. Lo aveva detto con quasi noiosa insistenza nei discorsi dell’ultima cena.
Ebbene, con la solennità di Pentecoste il tema ritorna prepotentemente, perchè smette di essere solo un’esortazione e diventa possibile, praticabile: il dono dello Spirito che Gesù risorto offre ai credenti in lui, sarà lo strumento primo, la condizione di possibilità affinché quel suo sogno dell’ultima cena possa diventare realtà.
Allargando la riflessione possiamo dire quindi che a Pentecoste Dio fa capire che razza di mondo ha in testa e chiede ai cristiani di impegnarsi a realizzarlo:
– un mondo senza barriere, globalizzato non tanto nei mercati quanto nella solidarietà, in grado di sconfiggere gli steccati che secoli di incomprensione hanno eretto, quella globalizzazione dell’indifferenza di cui parla papa Francesco; un mondo in cui chi è diverso non è più motivo di paura e di chiusura…
– un mondo in cui la storia, la tradizione di ogni popolo venga mantenuta e valorizzata, diventando una ricchezza per tutti; un mondo che non tollera il pensiero unico, l’omologazione, il dominio di alcuna cultura sulle altre, … (alla faccia dei cd suprematisti bianchi!)
A Pentecoste nasce un mondo che è insieme globale e locale, senza supremazie, senza arroganze. Un mondo che non sempre noi cristiani abbiamo contribuito a promuovere, specie nei decenni di un certo predominio culturale del mondo cattolico…
- Le quattro letture dell’Antico Testamento che la solenne liturgia di stasera ci propone hanno un filo rosso che le collega: solo lo Spirito di Dio potrà rendere possibile ciò che umanamente non lo è, ciò che il peccato e la stupidità dell’uomo rende impraticabile.
Pensate al racconto della Genesi e della torre di Babele, simbolo della presunzione umana di gareggiare con Dio col risultato della dispersione e della incomunicabilità.
La seconda lettura, tratta dal libro dell’Esodo, illustra come la nascita del popolo di Dio è un dono che viene dall’alto, in un momento in cui Israele era solo una banda di schiavi.
Terza lettura: Ezechiele e le ossa inaridite che diventano un popolo. L’uomo continua ad essere totalmente impotente, ma Dio può operare cose grandiose.
Quarta lettura del profeta Gioele dice l’universalità del dono di Dio: “ogni uomo … figli e figlie … giovani … schiavi e schiave” potranno ricevere lo Spirito di Dio.
- Ecco ciò di cui parla il dono dello Spirito: c’è una universalità del dono, nessuno ne resta escluso. Ma ciascuno avrà una particolare manifestazione di questo dono. Come in una famiglia: i fratelli e le sorelle figli di uno stesso padre ricevono la stessa dignità, ma non saranno mai delle fotocopie. Ciascuno di loro avrà una peculiarità da giocare per il bene di tutti.
- Per dire che l’identità di una parrocchia non potrà mai esprimersi nella esaltazione di un carisma particolare, di una particolare appartenenza ad un gruppo, movimento, associazione. Guai ad una parrocchia che in qualche modo dovesse far passare l’idea che se non sei di quel movimento o gruppo, sei fuori posto. Insieme, però è necessario che una parrocchia non si accontenti di riconoscere il diritto di cittadinanza a qualsiasi appartenenza o spiritualità. Un parroco non potrà mai essere solo un controllore di volo, preoccupato che gli aerei non si scontrino tra di loro. Un parroco è chiamato ad orientare con saggezza le indicazioni che il Vescovo offre a tutta la Diocesi. Un parroco è chiamato a far sì che le innumerevoli ricchezze, gli infiniti doni, sensibilità, spiritualità all’interno della propria comunità vengano giocati per la crescita di tutti i battezzati che stanno in quel territorio e non solo per l’utilità del proprio gruppo. Si tratta di un impegno formidabile, ma che insieme si pone in termini di vita o di morte per una parrocchia: una comunità cristiana smette inesorabilmente di essere tale se
– un carisma diventa dominante
– ciascuno va per la sua strada
– i portatori dei singoli doni non si sentono responsabili di tutti
Siamo consapevoli che se il cristianesimo ha fatto nascere un mondo senza barriere, globalizzato, siamo anche consapevoli che contemporaneamente i cristiani hanno inventato il campanilismo, la pretesa di essere migliori di quelli là, la pretesa di non aver bisogno di collaborare con loro…
Ebbene, ormai non c’è più futuro per una Chiesa così: è necessario prepararci ad un modo diverso di essere Chiesa che ci chiede uno spirito di collaborazione coma mai è accaduto nella storia della Chiesa d’occidente.
Lo Spirito che a Pentecoste diede il via a un mondo di diversità capaci di parlarsi, si effonda sulla Chiesa di Milano e la apra ai nuovi orizzonti che le si schiudono davanti.
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