VI Domenica dopo Pentecoste

  1. Vorrei che non dimenticassimo il percorso che la liturgia ci sta facendo compiere in queste domeniche. Dopo il peccato di origine che viene dalla presunzione dell’uomo di essersi fatto da sé, dopo il fratricidio che esprime la non disponibilità di accettare qualcuno da me diverso, dopo la pretesa di avere un trattamento privilegiato da parte di Dio per essere parte del suo popolo (domenica scorsa), siamo davanti a una delle tematiche fondamentali, ad una delle parole chiave che dicono l’originalità del Dio della Bibbia e dunque della relazione che lui vuole avere con gli uomini. Questa parola chiave è quella che ritorna più volte nelle letture di questa domenica: alleanza. Il Dio creatore non abbandona l’uomo al suo destino, non vuole un rapporto di sudditanza, non una sottomissione (=islam), tantomeno una schiavitù, … ma una specie di partenariato in cui certo, non siamo sullo stesso piano (Dio rimane Dio e l’uomo un filo d’erba che al mattino spunta e alla sera è già seccato), ma malgrado questo l’uomo è portato ad una inaudita dignità: familiare di Dio, erede delle sue promesse.
  1. Quello dell’alleanza è uno dei temi che attraversa tutta la Bibbia, che comincia ad apparire in quello che chiamiamo antico testamento e che sfocia nel nuovo testamento. Il racconto dell’Esodo è solenne. Mosè sale sul monte di Dio, riceve le tavole della legge, il contratto che il popolo deve firmare perché nasca l’alleanza. E la firma avviene attraverso il rito descritto: si costruisce un altare, vengono sacrificati giovenchi e il sangue di questi animali viene versato per metà sull’altare che rappresenta Dio, per metà viene asperso sul popolo. L’alleanza è sancita: tra Dio e popolo è come se scorresse lo stesso sangue. Dio e il popolo sono parenti, consanguinei. Talmente intimi che il popolo – dopo la lettura dei precetti – dichiara: “tutte queste cose le eseguiremo e vi presteremo ascolto”. Anzitutto le eseguiremo, perché ci fidiamo di questo Dio che ci ha dimostrato fiducia e ci ha voluti suoi partner, suoi collaboratori. Ma poi le ascolteremo per farne memoria, per capire il senso di ciò che ci chiede, per poterle tramandare ai nostri figli.
  1. Dal monte Sinai la liturgia ti porta con il pensiero ad un altro monte, alla collina di Gerusalemme, al Golgota, a tre croci, per raccontarci che anche lì si celebra un’alleanza. Anche lì sulla collina, si celebra la gloria di Dio. Ma come siamo lontani dalla solennità del Sinai, quanto siamo fuori da ogni segno o immagine di imponenza. Oserei dire, siamo nel segno della totale impotenza, per non dire dell’abbruttimento, perché́ quello era il luogo dove giustiziati erano i malfattori, spettacolo di infamia. E lui, Gesù, dopo aver preso l’aceto, «disse: ”È compiuto”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito».
    Per Giovanni è l’ultima parola di Gesù: “È compiuto”. Ed è paradossale! Il disegno che aveva attraversato e spinto la sua vita, il disegno che pulsa nelle vene del mondo, nelle contraddizioni e nelle speranze della storia, era “compiuto”. Diciamo la parola: l’“alleanza” era compiuta proprio su quella collina dove non c’è più un Dio davanti al quale nascondere il volto come sul monte Sinai, ma un Dio da guardare. Appunto, su una croce.
  1. Anche noi quest’oggi volgiamo lo sguardo con tenerezza infinita al trafitto: avviene lo svelamento di Dio, lo svelamento della sua vera gloria, lo svelamento della nuova alleanza. Su quella collina in cui Dio diventa accessibile a tutti, così diversa dal monte Sinai dove solo Mosè poteva salire, sul monte inaccessibile e infiammato. Dio si svela sulla collina, davanti a tutti, in un luogo pubblico, diremmo laico. E dovremmo subito aggiungere: là dove non ti saresti mai sognato di vedere Dio, o di assistere a un patto di alleanza, il luogo dei malfamati.
  1. La chiamiamo nuova questa alleanza, ma non per dire – come forse è capitato nel passato – che si potesse scartare quella del Sinai, quella di Mosè. Lo dimostra il fatto che la Bibbia cristiana non ha cancellato le scritture ebraiche, che nella messa leggiamo sempre brani del testamento antico. E come potremmo capire le parole di Gesù se avessimo scartato come ferro vecchio e inutile l’alleanza antica? L’alleanza, dunque, è “nuova” non nel senso che quella antica sia senza luce, ma nel senso che la luce, che là era iniziata, ora in Gesù è arrivata allo splendore assoluto. Ma le radici sono là e operazione dissennata sarebbe recidere quelle radici. La differenza la capiamo bene: non più il sangue degli animali celebra questa alleanza. Ma il sangue stesso di Dio. Dopo il Golgota è il sangue stesso di Dio che scorre nelle nostre vene. Se la prima alleanza comportava un sacrificio, un prezzo pagato dagli uomini attraverso gli animali immolati, l’alleanza definitiva venne pagata totalmente da Dio, col sangue di suo Figlio appeso alla croce.
  1. Dunque, è a questo che ci chiama l’alleanza antica e nuova: ad essere uomini e donne di alleanza, uomini e donne non del menefreghismo, del “ognuno i fatti suoi”, dell’estraneità, … ma uomini e donne dell’alleanza, donne e uomini che sono arrivati al Calvario e non finiscono di guardare “colui che hanno trafitto”. Per ritornare poi alla vita e creare instancabilmente legami, a costruire insonnemente terre di alleanza, terre di partecipazione… Se Dio stesso ha voluto entrare in relazione con gente misera come noi, allora anche noi possiamo sconfiggere l’indifferenza verso i nostri simili e stabilire con loro legami di alleanza e partecipazione.

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