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Domenica che precede il martirio di san Giovanni Battista
- Domani, 29 agosto, celebreremo il martirio di san Giovanni Battista che fa da spartiacque nel calendario ambrosiano: dopo la sua morte tutta l’attenzione sarà su Gesù che Giovanni aveva preannunciato e per il quale mise in gioco la sua stessa vita. Questa domenica prepara quel martirio mettendo in luce che martirio significa testimonianza, il martire è uno che – anche a costo della vita – fa vedere ciò che per lui è fondamentale, per cui vale la pena di vivere. E lo fa a partire da un tema sempre attuale: quello della trasmissione della fede che, o passa attraverso un meccanismo di contagio, di attrazione tra le generazioni più adulte e quelle più giovani, … oppure è destinata drammaticamente ad interrompersi.
- Ma procediamo gradualmente. La liturgia prende le mosse da un momento preciso per la storia del popolo di Israele: quello della dominazione greca, successiva alla fine dell’impero di Alessandro Magno, che comportò la profanazione delle istituzioni dell’antico Israele e il tentativo di estirpare tutta una serie di pratiche e tradizioni, come la proibizione per gli ebrei di mangiare carne di maiale. Il racconto di oggi mette in luce la resistenza di un anziano scriba di nome Eleazaro che arriva ad accettare il martirio pur di non trasgredire “le sante e venerande leggi”. Penso abbiano colpito anche voi le parole con cui Eleazaro risponde a chi gli proponeva di fingere per avere salva la vita: “Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleazaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disordine e macchia alla mia vecchiaia”.
- Interessante questa attenzione alle generazioni future, questo senso di responsabilità verso i più giovani e i più piccoli, quelli di cui parla Gesù nel vangelo usando il linguaggio duro dello “scandalo” che in questi ultimi decenni abbiamo abbinato alla vergogna degli abusi sessuali sui minori che si sono consumati in ambito ecclesiale. Ma al di là di questi eventi drammatici di pedofilia, mi sento di pensare ai “guai” di Gesù come rivolti anche a quanti – e parliamo della nostra generazione di adulti e di anziani – non avvertiamo l’urgenza e la bellezza di raccontare in tutti i modi possibili la nostra fede in Gesù Cristo, la straordinaria scoperta che la vita dell’uomo non è un agitarsi inutile in attesa della morte, che non siamo solo stati pensati da un Dio creatore, ma che da Lui siamo continuamente chiamati a collaborare con un progetto grande quanto la storia. Se queste cose i “piccoli” non le sentiranno e non le vedranno brillare negli occhi di genitori e nonni, negli occhi di noi che frequentiamo assiduamente la chiesa, da chi dovrebbero sentirle? Da preti e suore, “specie” ormai in via di estinzione? Ma poi pensiamo anche alla categoria dei “piccoli” che sono gli uomini e le donne che non hanno mai conosciuto Gesù o lo hanno conosciuto male: se queste cose non le percepiranno dalla passione, dalla bontà e dalla serietà dei loro vicini di casa, dei loro colleghi di lavoro, … chi mai potrà aiutarli a trovare un inaspettato senso da dare alla loro esistenza? Noi che – per dirla con san Paolo – “non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili”.
- Gesù parla di “scandalo” e la parola significa “ostacolo, inciampo”. Non si meritano le minacce di Gesù solo se si commettono azioni inaccettabili. La minaccia riguarda anche il non far di tutto perché i “piccoli” possano trovare la loro strada per la felicità, possano conoscere Gesù. La minaccia è per chi tiene la fede, ricevuta da giovani, come un santino spiegazzato nel portafoglio a mo’ di portafortuna, come uno strumento di consolazione che ci tranquillizza nei momenti difficili della vita.
- E allora guardiamolo negli occhi il vecchio scriba Eleazaro: forse non ci capiterà mai di dovere mettere in gioco la nostra vita e versare il sangue per testimoniare le cose grandi in cui crediamo, ma proviamola un po’ di santa invidia per un uomo che a novant’anni non si spaventa nemmeno della persecuzione e guarda al futuro di quei giovani che meritavano di ricevere anche da un vecchio come lui “un nobile esempio”. A vincere la sfiducia nei confronti della fede e della chiesa delle nuove generazioni non bastano le parole di noi adulti ed anziani: oggi, come al tempo di Eleazaro, è necessario “un nobile esempio”. Il Signore ci conceda di offrirlo alle nuove generazioni, se solo ci teniamo a contrastare la loro freddezza e la loro distanza da Dio.
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