Passa al contenuto principale
X Domenica dopo Pentecoste
- Dopo Saul, dopo Davide, ecco entrare in scena Salomone, il re sotto il quale probabilmente Israele raggiungerà il massimo del suo splendore, della sua fama internazionale. Dopo la sua morte il regno si spaccherà in due e nel giro di poco più di due secoli verrà spazzato via dagli assiri e dai babilonesi. Ma con Salomone le cose andarono bene e il primo libro dei Re ci dà una spiegazione di questo successo economico, politico e religioso: Salomone – figlio del Re Davide – almeno agli inizi del suo regno, fu un re diverso, un uomo umile, dai piedi per terra, ancora libero da quella sete di potere che sembra rovinare anche i migliori. Il racconto del suo sogno descritto nella prima lettura avvenuto all’inizio del suo mandato come re di Israele è eloquente: Dio gli offre la possibilità di scegliere un dono, una qualità particolare. La sua risposta viene apprezzata da Dio: non chiede successo, ricchezza o lunga vita, ma chiede “un cuore attento”, un cuore che ascolta, e aggiunge “perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”.
- La richiesta di Salomone diventa una provocazione per quanti già sono impegnati in politica o intendono candidarsi alle prossime elezioni politiche e lo fanno animati dalla parola di Dio. “Saper rendere giustizia e distinguere il bene dal male” diventa possibile a condizione di avere un cuore che ascolta. Condizione dimenticata e disattesa. Siamo arrivati a questo punto della storia del nostro Paese credendo che la cosa importante per un buon governo sia saper parlare, essere buoni comunicatori. E invece Salomone domanda di diventare un buon governante imparando ad ascoltare. Allora preghiamo – almeno oggi – per i nostri governanti attuali e futuri, perchè abbiano nel giovane Salomone, una specie di santo patrono, di ispiratore, di modello a cui guardare.
- Ma facciamo un passo avanti. La parola che ritorna nelle prime due letture e che fa da punto di riferimento per questa liturgia è la parola “sapienza”. Nel vangelo non c’è, ma intuiamo che essere sapienti non è per niente una questione di studio, di cultura, di lauree, … Il vangelo parla di “entrare nel regno di Dio”, o di “essere salvati”. E allora la “sapienza” di cui vogliamo parlare, di cui ci parla la liturgia di questa domenica è qualcosa che ha a che fare con una vita riuscita, con una vita dove il successo non si misura con il conto in banca o con il potere sugli altri uomini, ma con il mettersi in sintonia col pensiero di Gesù e con il nostro appartenere a lui. Una vita “sapiente” che si contrappone ad una vita “stolta” – direbbe Paolo – cioè ad una vita basata su cose che non tengono, sul vuoto, che è vuoto di umanità. Sapienza viene dal verbo latino “sàpere” che più del sapère, evoca il sapore, il gusto, la bellezza, l’armonia, un significato, un senso da ricercare nelle cose che viviamo e che facciamo.
- La pagina del vangelo – l’abbiamo certamente colto – ci riporta le parole di Gesù al termine del dialogo con il “giovane ricco” che si era rivolto a lui, pieno di belle intenzioni, chiedendogli la ricetta per la “vita eterna” che potremmo tradurre con vita sapiente, vita riuscita. A fronte della risposta di Gesù (vai, vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi) il personaggio se ne andò via triste, perché aveva molti beni, dice il vangelo. Di qui il commento amaro di Gesù con l’immagine del cammello e della cruna dell’ago. Ma il passaggio credo piu bello è quello finale: Pietro che fotografa la sua situazione (abbiamo lasciato i nostri beni e ti siamo venuti dietro) e Gesù che chiude con quelle battute che dovremmo imparare a memoria: “non c’è nessuno che abbia lasciato qualcosa per il regno di Dio che non riceva molto di più adesso e poi anche la vita nel tempo che verrà”. Il guadagno è ora, per questa vita. Ad entrare nella cruna dell’ago, ad entrare nel modo di pensare di Gesù ci si guadagna fin d’ora, una vita sapiente, sapida, saporosa. Una vita che ti fa mettere il cuore, il cervello, i desideri, … in qualcosa che merita.
- Di motivi per riflettere ce n’è per tutti dal momento che gli ambiti di autorità non sono solo quelli dei vertici della politica o delle chiese, ma anche quelli più vicini, in famiglia, nella professione, nelle comunità. Ho un cuore che ascolta, so mettermi in ascolto? La questione non è marginale, facoltativa. Senza l’ascolto una società impazzisce, si frantuma, conosce la prevaricazione e l’imbarbarimento.
Coì si esprimeva il presidente dei Vescovi italiani, Matteo Zuppi a seguito della caduta del governo Draghi: “Si presenta, inevitabile, l’ora dei doveri e delle responsabilità per cui la politica dovrà trovare il più virtuoso punto di incontro tra ciò che è buono e ciò che è realmente possibile, perché le risorse esistenti non vadano sprecate, ma collocate sl servizio del bene comune e dell’intera popolazione”.
Per questo, in questa messa vogliamo invocare su di noi e sull’intero mondo della politica il dono indispensabile della sapienza.
Potresti leggere anche:
Lascia un commento