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IV Domenica dopo il martirio di San Giovanni il precursore
- Come spesso capita, queste domeniche si caricano di molteplici significati e già dal foglietto della messa scopriamo che, oltre a celebrare la festa diocesana di apertura degli oratori, che per noi è anche la festa di tutta la comunità parrocchiale, oggi si ricorda la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, nervo scoperto per la politica, ma argomento da sempre caro alla chiesa e all’insegnamento del Vangelo (“ero straniero e mi avete accolto”).
- Mangiare, nella storia dell’umanità, non è mai stata solo una questione di nutrimento per la sopravvivenza. Man mano che l’uomo si percepiva come portatore di un qualcosa di diverso rispetto al mondo animale, ecco che il mangiare diventava sinonimo di crescita, di trasformazione, … e il mangiare assieme un modo per condividere la vita. Il mangiare è un gesto impegnativo e la nostra cultura deve recuperarne lo spessore, la ritualità. Ma il mangiare il corpo di Cristo e bere il suo sangue, capite che diventa esperienza ancora più compromettente.
Pensate: per secoli la Chiesa ha così enfatizzato il mistero dell’eucaristia che poi la gente non faceva mai la comunione se addirittura ci volle un precetto della Chiesa che prevedeva di “comunicarsi almeno a Pasqua”. Per secoli la predicazione ha insistito sulla necessità di essere “degni” al punto che non si faceva la comunione senza prima confessarsi… Oggi, anche grazie al Concilio Vaticano II, si è recuperato il valore del corpo e sangue di Cristo come del “pane del cammino” che sostiene la fatica quotidiana del cristiano. Ma, se posso permettermi, ho la sensazione che talvolta questo nutrirci del corpo di Cristo abbia bisogno di essere salvato dal rischio dell’abitudine, delle cose fatte in automatico, senza sentire il bisogno di dare un “perché” pensato, motivato a questo gesto.
E, guardate, il solo modo per salvarci da questo rischio è proprio quello di lasciarci istruire dalla Parola di Dio che ci aiuta a riconoscere il corpo e il sangue del Signore in questo pane e in questo vino. È la Parola di Dio che mi spiega le conseguenze del nutrirmi di questo pane e del bere di questo vino…
- Ed è di queste conseguenze che vorrei parlarvi adesso. La prima ce la spiega la prima lettura dai Proverbi … Ma in che modo questo pane, questo vino, comunicano sapienza? E Gesù lo dice nella sinagoga di Cafarnao: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. In che senso carne? Nel senso di vita concreta. Come se Gesù dicesse: “Nutritevi, fate vostra, assimilate la mia vita così come l’ho vissuta in questa mia umanità … Non stupitevi se vi pare una vita fragile e debole: in questo modo di essere umani sta la vera forza!”. Ecco che cosa significa mangiare di questo pane e bere di questo calice: acquisire la vera sapienza, ciò che dà sapore alla vita, e trovarlo in una vita donata, in un corpo dato, in un sangue versato.
- Abbiamo intitolato le linee pastorali di quest’anno con questo slogan: “Ancora in viaggio” per dire che la chiesa non esiste per stare ferma, per essere sempre uguale a se stessa. Noi cristiani non veniamo in chiesa per stare bene tra di noi, i tanti gruppi che questa parrocchia ha generato non possono accontentarsi solo di gratificare quanti vi partecipano. La chiesa esiste per muoversi, andare, per incontrare, per offrire ad ogni uomo e donna la possibilità di conoscere Gesù e il suo vangelo. E questo saremo capaci di farlo se dal nostro venire in chiesa ricaveremo la voglia per andare in mezzo alla gente, ma portando con noi una sapienza diversa, un modo diverso di guardare ai problemi, di sognare il domani.
- Da anni in questa giornata di festa abbiamo l’abitudine di conferire il mandato a quanti – a vario titolo – vivono l’esperienza di educatori verso i più piccoli affinchè avvertano sempre più e sempre meglio la bellezza del “farsi mangiare”, del donarci agli altri, come quel ragazzo anonimo che regalando a Gesù i suoi cinque pani e due pesci gli permise di fare il miracolo. Pensiamoci: significa mettere i nostri piccoli su questa strada, quella di mangiare il corpo e bere il sangue di Gesù, di non scandalizzarci della sua debolezza per arrivare a dare, regalare, la nostra vita, come ha fatto Gesù, anche a chi non se lo merita. Questa è la nostra identità. Pensiamoci bene. Non ci viene chiesto chissà cosa: cinque pani, due pesci, poca roba, ma dato via con gioia e per Gesù. E, statene certi, qualcosa di grande accadrà.
- Chiudo con una poesia bellissima di Pablo Neruda, poeta cileno. Si tratta di un’ode sul pane che recita così: “nacque per essere diviso, per essere consegnato, per essere moltiplicato”. Se ci pensate bene, potrebbero essere parole vere anche per Gesù e mi augurerei che fossero vere anche per me, per voi. Ogni volta che ricevo nelle mani il pane dell’eucaristia è come se una voce mi dicesse: “Sei nato per essere diviso, per essere consegnato, per essere moltiplicato”.
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