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V Domenica dopo il martirio di San Giovanni il precursore
- Quando ritorneremo in pellegrinaggio in Terra Santa visiteremo un luogo unico, a Gerusalemme, che si chiama – in ebraico – “Yad va shem”, che significa “monumento e nome”, espressione tratta dalla pagina del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato. Si tratta di una collina su cui è stato costruito un memoriale dedicato ai 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti negli anni della Seconda guerra mondiale. Un luogo unico, una visita “obbligatoria”, anche se il senso dell’espressione di Isaia, lo capite, era ben diverso e voleva ribaltare la logica su cui si era costruito tutto l’AT secondo il quale Dio aveva separato un popolo, Israele, tra tutti gli altri popoli della terra. In questo popolo aveva separato una tribù, quella di Levi, per renderla particolarmente santa. Da questa tribù venivano scelti alcuni che diventavano sacerdoti, separati dagli altri e tra i sacerdoti si sceglieva il Sommo Sacerdote, l’unico che poteva stare al cospetto di Dio. Vedete, la logica del confine, della separazione, della presa di distanza progressiva.
Il problema è che – intuisce Isaia – Dio forse non voleva questo. La sua logica era quella di includere, non di escludere. Nella prima lettura lo dice con forza: non ci sono categorie fuori dal confine della benevolenza di Dio – neppure gli eunuchi – che non potendo avere figli erano considerati fuori dalla benedizione di Dio. No, scrive Isaia, persino loro avranno un monumento, saranno ricordati, il loro nome sarà immortale. Ma persino gli stranieri – con i quali ufficialmente un ebreo non poteva avere relazioni senza perdere la sua santità – anche loro saranno considerati di casa, i loro riti saranno apprezzati da Dio, il tempio di Gerusalemme sarà una casa per tutti.
- Questo superamento di ogni confine, di ogni barriera, Paolo lo sintetizza con un imperativo che non offre vie di scampo: “accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio”. Come a dire che la gloria di Dio dipende da quanto accogliamo o non accogliamo l’altro, prima che dalla solennità delle nostre liturgie. È nella carne degli umani che si decide l’onore o il disonore di Dio, non dai fumi dei nostri incensi o dalla preziosità dei nostri calici. Sempre Paolo precisa che “il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri lo stesso modo di sentire, sull’esempio di Cristo Gesù”. Capite che a prendere sul serio queste affermazioni si ribalta il mondo. Mai più “noi e loro”, mai più la distinzione tra i “nostri” e gli “altri”. Mai più sovranismi o nazionalismi che portano al disprezzo di chi è diverso da noi. Aver incontrato Gesù significa aver scoperto il principio più sovversivo della storia: un Dio che non può tollerare trattamenti disuguali tra i suoi figli.
- A questo punto diventa comprensibile – facile mai, ma comprensibile sì – persino la pagina del Vangelo di Luca. Gesù non è un ingenuo visionario; lui sa quali sono le ferite che vengono dalla vita, quanto sia complicata la convivenza tra gli umani. Ma lui sa anche che quand’anche dovessimo incontrare nemici, persone che ci odiano e trattano male, che ci percuotono sulla guancia e ci strappano il mantello, … noi potremmo reagire in modo diverso rispetto a quello che sarebbe ovvio, consueto, normale. Fuori dalla logica della ritorsione, della amarezza, del disamore. Insomma, il vangelo ci chiede di mostrare un’altra faccia della vita. È la faccia della gratuità, della dismisura, della sovrabbondanza. È la faccia di Dio che Gesù racconta, per lasciarci sedurre dal suo modo di essere “benevolo verso gli ingrati e i malvagi”.
- “A chi ti percuote sulla guancia mostra anche l’altra”. Cioè mostra un’altra faccia, un modo alternativo di reagire al male, mostra la faccia di Dio, quella faccia che crea una cosa nuova sulla terra. Finché ragioneremo solo col buon senso e ci comporteremo in modo normale, il mondo sarà sempre lo stesso. Essere figli di Dio significa introdurre il suo modo di fare, la sua faccia, nelle relazioni di tutti i giorni. E allora sì che qualcosa nel mondo cambierà.
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