VI Domenica dopo il martirio di San Giovanni il precursore

  1. Il titolo di queste domeniche: il cristianesimo, oca ardua e difficile. Dopo la meditazione di domenica scorsa sull’amore che Gesù ci chiede di riservare persino ai nemici, a quelli che ci vogliono e ci trattano male, oggi il tema è quello dell’ospitalità e dei benefici, della ricompensa, della benedizione nascosta riservata a chi accetta il rischio di scomodarsi per fare spazio all’altro. Già perchè l’accoglienza, l’ospitalità è proprio questo aggiungere un posto a tavola, spostare un po’ la seggiola perchè anche un altro possa trovare spazio al nostro fianco.
  1. Dunque, affrontiamo il tema dell’ospitalità, a dire che la fedeltà alla Parola di Dio la si riconosce non tanto dalle parole, quanto da uno stile da avere nei confronti di chi ci capita accanto. Uno stile che non si improvvisa e che ha bisogno di un lungo esercizio. La lettera agli Ebrei lo esplicita: “Non dimenticate l’ospitalità: alcuni praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”. Certamente il riferimento è ad Abramo e alla sua tenda: quel lontano giorno, senza saperlo, ospitando i tre misteriosi pellegrini, ospitò Dio. Ma in queste stesse parole possiamo leggere anche l’altra eventualità: se non sono ospitale, perdo l’occasione di ospitare Dio. Ricordate le parole di Gesù: “Ero straniero e non mi avete ospitato”. Ma quando mai? Quando non hai ospitato lo straniero!
  1. Veniamo ora al racconto di Elia. Dal luogo remoto dove ebbe dei corvi come camerieri, Elia viene spinto dal Signore stesso verso un luogo che neppure lui si aspettava: Sarepta, una città fuori dal territorio di Israele, dove a nutrirlo, dopo i corvi, a nutrirlo in nome di Dio, sarà una donna, per di più straniera, vedova e quindi senza sostegno, in un tempo gramo in cui il cibo e la vita venivano meno ogni giorno che passava. E qui la Parola di Dio comincia a mettere una pulce nel nostro orecchio: chi ti nutre, anche spiritualmente, può essere persino uno o una che non appartiene al tuo territorio o alla tua religione, come fu per Elia, con la vedova di Sarepta.
    Dunque, Elia andò fino a Sarepta in obbedienza al suo Dio, ma ci chiediamo se il modo arrogante e pretenzioso con cui si rivolge alla donna corrispondesse alla Parola di Dio. Una donna che diventa a questo punto la vera protagonista del racconto e noi a schierarci più dalla sua parte che non dalla parte di Elia. Lei a raccontare che le rimane solamente un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio, lei in cerca di due legni per il fuoco; e poi le rimane, a lei e a suo figlio, solo di morire. E il profeta che pretende una precedenza! “Prima però – le dice – prepara una piccola focaccia per me e portamela…”. Questo gli aveva detto Dio? Questa precedenza? Davvero “prima i nostri”? Vedete come anche Elia, il grande Elia, dovrà fare un lungo cammino nel suo itinerario verso una fede più vera.
  1. E così, lasciatemi dire, in cattedra sale la donna di Sarepta, la vedova senza titoli. Vi sale con la sua ospitalità, un’ospitalità che non sapeva cosa fossero le precedenze. Pensateci: avrebbe avuto più che una ragione per rispondere alle parole un po’ arroganti di quell’uomo straniero e per di più appartenente ad una altra fede. Lei non conosceva il Dio di Elia; eppure, compie un atto di fiducia estremo, un gesto di estremo abbandono che custodisce una promessa: “La farina della giara non si esaurirà, e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore farà piovere sulla terra”.
  1. Immediato e obbligatorio – mi pare – è il paragone col tempo che ci è dato di vivere. Un tempo in cui periodicamente si alzano voci diverse, ma tutte a dire che le risorse della terra sembrano esaurirsi, che non ce n’è più per noi e come possiamo pensare anche agli altri. E così abbiamo sentito riecheggiare “prima gli italiani, prima i lombardi, America first …”. E a fronte di queste predicazioni terroristiche forse vale la pena di ricordare che l’accoglienza è raccomandata anche da ragioni di convenienza per i nostri Paesi segnati da forte invecchiamento e che dagli immigrati ricavano significativi vantaggi. Ad es., senza questi immigrati chi lavorerà̀ nei cantieri edili, chi raccoglierà̀ frutta e verdura piegando la schiena da mattina a sera per un compenso ‘nero’ e in condizioni di vita spesso disumane? Chi si prenderà̀ cura degli anziani? Dobbiamo a questi lavoratori non solo un trattamento salariale rispettoso della legalità̀, ma anche dobbiamo loro riconoscenza e rispetto. 
    In più, lunedì scorso abbiamo celebrato il nono anniversario (3 ottobre 2013) della più grande strage di migranti nel mediterraneo dopo la quale Papa Francesco si recò a Lampedusa e pronunciò queste parole che non ci è lecito dimenticare: “Abbiamo fatto l’abitudine alla sofferenza degli altri. Non ci riguarda, non ci interessa, non è cosa nostra… Vorrei chiedervi: chi tra noi ha pianto per queste persone che erano sui barconi? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualche cosa per far vivere le loro famiglie”. Se vogliamo essere discepoli dell’Evangelo di Gesù̀ non possiamo non vivere l’accoglienza e l’ospitalità̀.
  1. È certo compito delle forze politiche affrontare la sfida rappresentata da una società̀ multirazziale, la sfida di moltitudini che inesorabilmente cercano lavoro e speranza nei nostri Paesi lasciando le loro terre devastate dalla fame e dalle guerre. Le doverose esigenze di sicurezza non devono alimentare chiusure ed esclusioni. Una opinione pubblica che non abbia del tutto dimenticato le sue radici cristiane non potrà̀ accettare logiche di chiusura ed esclusione. 
    È triste constatare come duemila anni di cristianesimo sembrano non aver intaccato paure e diffidenze nei confronti dell’altro. Lasciamoci tutti giudicare dall’Evangelo.

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