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- Nelle letture che abbiamo ascoltato in questa prima domenica di Avvento respira l’attesa del giorno del Signore. Lo slogan di questa domenica è: “Ancora in viaggio, verso il Signore che ci corre incontro … per stare per sempre con noi”.
La chiesa celebra l’Avvento certamente per prepararci al Natale, ma principalmente per tenere viva l’idea della vita cristiana come “avvento”, “avventura” che significa “apertura alle cose che verranno”. Non possiamo insomma ridurci a pensare alla storia solo al passato, incapaci di attendere una vera sorpresa, una svolta veramente decisiva. Non ci è lecito ridurre la fede cristiana a memoria del passato: bei ricordi di eventi lontani, incapaci di renderci uomini e donne del futuro. Perderemmo la virtù della speranza, del coniugare i verbi al futuro: non ci attendiamo nulla di buono per il domani, ci facciamo impaurire da un mondo sempre più preda del male e allora … riempiamoci la pancia e lasciamoci travolgere dalla droga dei social!
- Quando questo accade, quando domina questa visione pessimistica, rassegnata e cinica della vita, le conseguenze sono drammatiche: diventiamo tristi e ripiegati sul nostro tornaconto immediato; disertiamo la politica a favore di un astensionismo sempre più evidente; dimentichiamo il significato del “bene comune” aggrappandoci alla difesa dei nostri privilegi, sterili e sospettosi ad es. verso il fenomeno migratorio spesso enfatizzato in modo esagerato. Dimentichiamo che di questo mondo, come lo conosciamo, “non sarà lasciata pietra su pietra”, che ci sarà un giudizio, che c’è un bene e un male su cui saremo esaminati.
- Ma se le conseguenze sociali dello smarrimento dell’attesa del giorno del Signore sono devastanti, altrettanto lo sono dal punto di vista del modo di vivere la fede. E dire che Gesù ci aveva messi in guardia. Dall’inganno: “Se qualcuno vi dirà: ecco il Cristo, è qui, è là, non credete … sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli”. Certo, uno degli aspetti più ardui del cristianesimo sta proprio nella fatica dell’attesa. Non è un problema solo nostro. Lo stesso Paolo dovette fare i conti con la tentazione del “tutto e subito” che i cristiani di Tessalonica vivevano quando andavano in giro dicendo che “il giorno del Signore è già presente”, ormai ci siamo, ormai la fine del mondo è imminente, … E invece nulla di tutto ciò. Tra la venuta nella carne e il ritorno nella gloria del Signore Gesù c’è un difficile “frattempo” che ci è chiesto di vivere, facendo i conti con quello che Paolo chiama “l’apostasia, l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che si innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio”. Tutti modi per dire che la vita del cristiano dovrà fare i conti con il mistero del male, con “l’insulto degli uomini … i loro scherni” per usare il linguaggio di Isaia.
Il credente non solo non avrà mai il diritto di scandalizzarsi di questa presenza distruttiva. Con la sua vita è chiamato a dire “il Signore verrà” per farsi voce del grido della terra, dell’implorazione di tutti coloro che nella storia hanno subito ingiustizie e violenze, di tutti coloro che hanno portato nella sofferenza della loro carne la ferita del disprezzo, del misconoscimento della loro dignità, della prevaricazione dei potenti, dell’inganno dei disonesti, l’implorazione di coloro che hanno onorato l’umiltà, la mitezza, la limpidezza e sono stati derisi.
- “La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza … Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto poiché la terra si logorerà come un vestito … Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta” ci ricorda un lontano discepolo di Isaia nella prima lettura.
E che questo benedetto tempo di Avvento ci insegni a coltivare questa struggente e affidabile speranza vivendo con serena operosità. A Luigi Gonzaga, ragazzo, chiesero come si sarebbe comportato se quello che stava vivendo fosse stato il suo ultimo giorno, “Continuerei a giocare”. Una risposta solo apparentemente ovvia.
Andiamo verso la fine o piuttosto il fine della nostra vita, ma non cediamo al disfattismo, non smettiamo di giocare con i nostri figli, non smettiamo di lavorare per il futuro. La fine non sarà il nulla, ma l’incontro con Colui che ci sta correndo incontro da sempre, per stare per sempre con noi.
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