Solennità di Cristo Re

Ultima domenica dell’anno liturgico

  1. L’ultima domenica dell’anno liturgico (domenica prossima sarà la prima di Avvento) ha quasi il sapore di un esame di fine anno, quasi a prepararci, ad anticipare quell’esame cui saremo tutti sottoposti nel giorno in cui incontreremo il Signore faccia a faccia. Gesù sarà il nostro esaminatore e sarà un esaminatore un po’ strano che – diversamente da quello che succede nella storia degli umani – ci fa sapere con largo anticipo quali saranno le domande che ci farà in quel giorno per vedere se siamo degni di entrare nella festa eterna. 
    Ebbene, la parabola del giudizio universale raccontata da Matteo al capitolo 25 ci dice che cosa sta a cuore a questo strano esaminatore che sembra disinteressato a tutto quello che noi chiamiamo la “pratica” cristiana, l’andare a messa la domenica, l’accostarsi ai sacramenti, il partecipare alla vita della comunità cristiana. Di queste cose su cui noi sacerdoti invece insistiamo continuamente non si dice nulla, neppure un accenno…
  1. Credo per due motivi: il primo è che questo esame di maturità riguarderà tutti i popoli, non solo i cristiani. Sarà un giudizio universale, per ogni razza, cultura, religione, … A ogni uomo, a ogni donna Gesù, l’esaminatore, non farà domande sul catechismo, ma farà domande di umanità: saremo interrogati, esaminati, sulla nostra umanità, sulla capacità di riconoscere nel volto di colui che mi sta accanto con un bisogno, una sofferenza, un dolore, … il volto di un fratello, di un vicino, senza classifiche di merito (a te sì, a te no, prima ai nostri poi semmai agli altri). Per Gesù-l’esaminatore l’unico criterio è il bisogno al quale dare risposta. E qui c’è la sorpresa: chiunque avrà risposto al bisogno di colui che ha accanto, chiunque si sentirà mosso da un sentimento di umanità, scoprirà una cosa inimmaginabile, e cioè che dietro quel volto di carcerato, di affamato, di ammalato, di straniero, … si nascondeva come in un gioco lo stesso Gesù-esaminatore. Un gioco per la vita, per la vita eterna. Un gioco in cui Gesù vuole che tutti vinciamo, che tutti arriviamo primi. 
    Ma non potrebbe sopportare che la nostra libertà venga limitata. Se si facesse riconoscere perderemmo tutta la nostra spontaneità, la nostra libertà. E così si nasconde, si trucca, si maschera. E però ce lo dice, non ci imbroglia, ci offre i criteri per poterlo cercare e riconoscere nella storia.
  1. Ma c’è un secondo motivo per cui nelle domande dell’esame di maturità è assente il riferimento alla liturgia, alla catechesi, all’ascolto della Parola, alla partecipazione alla vita della parrocchia. Ed è che tutti questi strumenti che lui ci ha lasciato non hanno valore in se stessi, ma solo in riferimento al far maturare in noi il senso della carità. Se la messa domenicale, l’accostarci ai sacramenti, la preghiera personale e comunitaria, … non ci rendono più capaci di scorgere il volto di Gesù camuffato dietro quello spesso ripugnante di un delinquente o di un rom o di un malato terminale o semplicemente di un anziano solo che sta sul mio pianerottolo o di un ragazzino un po’ sbalestrato e poco seguito dai genitori, … la domanda è davvero impegnativa: ma allora a che serve tutta la pratica religiosa se non genera in noi un modo diverso di stare assieme, di vivere le relazioni. Se quelli che vanno alla messa della domenica non diffondono un profumo diverso nei caseggiati dove abitano e non mostrano un di più di sensibilità e di attenzione nei confronti di chi si trova segnato dalla vita, per quale motivo ad un non credente, ad una persona lontana dalla fede dovrebbe venire la voglia di interrogarsi, di mettersi in discussione, di avvicinarsi alla chiesa?
  1. Intuiamo bene come lo sguardo che la liturgia ci vuol offrire nell’ultima domenica dell’anno ha a che fare con il nostro destino ultimo, ma anche con il senso stesso dell’esserci della Chiesa nel mondo.
    Celebrando oggi la Giornata Caritas, e insieme la giornata del povero, possiamo cogliere l’occasione per richiamare l’impegno e la responsabilità di ogni credente a rendersi costruttore di questo Regno di amore, giustizia e solidarietà nella vita di tutti i giorni. Il Regno di Cristo è la rivelazione dell’amore di Dio, ed è l’instaurazione di un nuovo ordine di rapporti fra gli uomini, è l’inaugurazione di un progetto diverso la cui attuazione è affidata dal Padre al Figlio e al popolo dei credenti.
    Gesù Cristo non ci educa alla rassegnazione, ma alla responsabilità, alla partecipazione. Ecco come esercita il servizio regale Gesù Cristo: stimola, incentiva, solleva, invita a non isolarsi, a mettersi a servizio, ad usare tutti i doni ricevuti, ad uscire dall’apatia. Per Lui regnare vuol dire servire. 
    L’essenziale della vita cristiana non è di dire e nemmeno di confessare Cristo a parole, ma praticare l’amore concreto per i poveri, gli stranieri e gli oppressi. La cura e l’accoglienza del povero diventa la ragione della benedizione e della salvezza.

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