IV Domenica di Avvento

ANCORA IN VIAGGIO … verso il Signore che ci corre incontro ed entra nella storia e nella nostra città

  1. A pensarci bene, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme è una vera e propria rappresentazione di questo tempo di Avvento, tempo del venire di Dio in mezzo a noi. Sono molti i titoli che possiamo adoperare per indicare Gesù: è il figlio di Giuseppe il falegname, è il figlio di Maria, è il Signore, è il Figlio del Dio altissimo, è il Salvatore, è l’Agnello di Dio, è lo Sposo, è il Pastore buono, è l’Amico, è l’uomo della croce, è il Risorto … ma possiamo anche chiamarlo il Veniente, Gesù, Colui che viene. E nel cuore della celebrazione eucaristica cantiamo: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Siamo quindi un popolo che attende.
    Ma attendiamo proprio perché siamo certi che Qualcuno viene. Dio, infatti, ha deciso di venire e abitare in mezzo al suo popolo.
  1. Gli uomini hanno sempre immaginato la divinità per lo più distante nella sua altezza irraggiungibile. In antico veniva chiamato el-shaddai, il Dio delle altezze. E invece ecco che Dio viene, che scende dalla sua montagna sacra sulla quale l’uomo non sarebbe mai potuto salire. “Benedetto Colui che viene” acclama la folla a Gerusalemme. Lo possiamo incontrare solo perché lui decide di farsi a noi vicino.
  1. Riflettendo su questo titolo – Gesù, colui che viene – mi sono chiesto: ma noi cristiani non ci qualifichiamo forse per la certezza che Gesù è già venuto? Non misuriamo forse il tempo a partire dalla sua venuta? 2022 dopo Cristo! Non si dice forse che una differenza tra Cristianesimo ed Ebraismo starebbe proprio nella certezza che per noi il Messia è già venuto, mentre Israele ancora lo attende? Ma se Gesù non è solo colui che era, che è, ma anche colui che viene, allora dobbiamo lasciarci istruire dall’attesa di Israele
  1. Certo, noi proclamiamo la venuta del Signore, ne custodiamo la parola consegnata nelle Scritture e quando ci rechiamo a Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme … abbiamo la consolante certezza di camminare là dove Lui ha camminato, di contemplare i paesaggi che Lui ha contemplato. È venuto il Signore e noi ne facciamo memoria, secondo il suo comando: “Fate questo in memoria di me”. Proprio perché il Signore è venuto noi siamo uomini e donne di memoria, chiamati a custodire e trasmettere una memoria. Le parole della fede noi le abbiamo ricevute da altri che prima di noi le hanno ricevute e custodite e trasmesse.
    Ma non siamo solo uomini e donne di memoria, chiamati a custodire e trasmettere quanto abbiamo ricevuto. Il Signore che è già venuto è atteso e noi viviamo nell’attesa della sua venuta, meglio del suo ritorno. Per questo il cristiano non è solo chiamato a custodire e conservare il passato, la memoria, ma anche ad aprirsi al futuro, al nuovo.
  1. Niente è tanto distante dallo stile di Avvento quanto il rassegnato pessimismo di chi dice: “Niente di nuovo sotto il sole”. Il Signore viene, il tempo non è ancora definitivamente concluso, noi non siamo chiamati solo a ripetere il passato ma siamo chiamati ad aprirci a colui che viene, alla sua novità. 
    “La vera tristezza non è quando, la sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita”. Così scriveva msg Tonino Bello, vescovo di Molfetta, morto di tumore nel 1993. E concludeva: “Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere”.
    Se Gesù è già venuto – e al tempo stesso è Colui che viene – allora noi siamo già salvati, già in possesso delle primizie dello Spirito, benchè non ancora pienamente e compiutamente realizzate.
    La nostra vita scorre tra il già e il non-ancora; i nostri giorni scorrono tra la gioiosa certezza dei doni di Dio posti nelle nostre mani e insieme il cammino di pieno compimento delle promesse di Dio. Tra memoria e futuro scorre la nostra esistenza.
  1. L’evangelo di questa domenica annuncia la venuta del Signore nella città, a Gerusalemme dove entra non a cavallo, cavalcatura propria della guerra, ma in groppa ad un asino. Viene nella città perché la sua parola che è certo anzitutto rivolta alla coscienza e alla libertà di ogni uomo, è altresì una parola per la città, per la convivenza civile. Quando la Chiesa alza la sua voce a difesa dei soggetti più deboli della società, contro la precarietà del lavoro, per il rispetto della dignità di ogni uomo senza discriminazioni, … non esula dalla sua missione, non parla di cose che non le competono, non ficca il naso in affari che non la riguardano, … ma è fedele al suo Signore venuto nella città e per la città. E viene sull’asino che, senza saperlo, porta Colui che è il Mistero. 
    Oggi questo asino è la Chiesa, sono io, sei tu. Noi che portiamo Gesù ma in verità è Lui, il Signore, che ci porta e ci sostiene.

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