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- Natale è un mistero da guardare, da toccare, da seguire. Tre verbi che possono aiutarci a vivere in modo più sorridente questa nostra vita spesso avvolta di scontentezza e nervosismo. Scontenti del mondo e di noi stessi, nervosi nei nostri rapporti con gli altri.
- Dicevo che Natale è anzitutto un mistero da “guardare” con occhi finalmente non più costretti a fissarsi su macerie e macerie, immagini di tutti i conflitti, dalla vicina Ucraina, al più lontano Yemen, dalla Siria al Sud Sudan. È Giovanni, nella poesia del prologo del suo Vangelo che parla di occhi che bucano le tenebre del mondo: “E noi vedemmo – dice – la sua gloria”. Già, ma dov’è ora la gloria di Dio? Dove andremo a cercarla? I nostri occhi non vedono altro che la fragile carne di un neonato. Dunque, i nostri occhi vedranno qualcosa, qualcuno al di là delle macerie della città spezzata, del cuore spezzato, vedranno il ritorno del Signore, il bagliore della sua presenza? È questo che ci ha spinti qui questa notte (quest’oggi), numerosi come sempre, dai più diversi quartieri dello spirito.
Ebbene, che cosa leggiamo in questa carne, piccola, tenera, indifesa carne di un neonato? Vediamo gli occhi di Dio, lo sguardo di Dio. Ci sentiamo guardati. E non è poca cosa essere guardati. È come sentirsi strappati alla solitudine e dalla insignificanza. Infatti, nessuno che si accorga di te, nessuno che ti guardi, è una delle esperienze più amare, vicina a quella dello sguardo che ti incenerisce, guardato dall’alto in basso.
Lo sguardo di Dio riposa in una mangiatoia e ti senti guardato da Dio, ti senti guardato dalla benevolenza. È questo che siamo venuti a contemplare nel Natale: lo sguardo di Dio su di noi, su questa terra. Uno sguardo che ci illumina.
- Ma Natale è anche un mistero da “toccare”. A Natale quel Dio, che tutti più o meno cercano da sempre, si fa carne, si in-carna: la cosa intrigante non è di che colore ha gli occhi o quanto è alto, ma che ha la mia stessa carne e che la mia carne può diventare la sua. Ma che cosa è mai questa carne? Per gli antichi filosofi greci la carne era la gabbia dell’anima. Per chi crede in Gesù, Dio che si è fatto uomo, la carne è l’uomo vivo, nella sua interezza (anima e corpo), e in generale ogni essere vivente. C’è una parentela, un legame, una comunione tra tutte le cose che hanno vita. Una comunione che – dalla notte di Natale – ci impone di cacciarcela per la vicenda e la sofferenza di ogni carne, di ogni essere vivente. A chi irride e critica la Chiesa perché troppo preoccupata delle cose “orizzontali” come la pace o la lotta ai cambiamenti climatici, dobbiamo ricordare che a Natale festeggiamo la pretesa di Dio di farsi carne per darci carne: lo spirito si fa materia, l’eterno si fa tempo, l’immortale si fa mortale, l’infinito si fa finito, il sacro si fa profano, il divino si fa umano… E quindi viceversa: nella carne c’è già Dio, nella materia lo spirito, nel tempo l’eterno, nel profano il sacro, nell’umano il divino…
- Il terzo verbo che fa rima col mistero del Natale è “seguire”, nel senso di dare seguito, di imitare, di calcare orme già tracciate. Se questo è il Dio in cui crediamo e per il quale siamo usciti questa notte (quest’oggi), allora qualcosa dovrà cambiare nelle nostre esistenze spesso tristi e ingrugnite. Non si può celebrare il Natale e non rimanerne contaminati. Non si può venire a messa a Natale senza percepire che se il messaggio del Natale è vero quest’oggi, deve esserlo anche per tutti i giorni della nostra vita. Ed è un messaggio che dice che non siamo soli, abbandonati a noi stessi, alle nostre miserie e paure. Non solo Dio esiste, ma ci è vicino, è uno di noi, è dentro la nostra carne. Dunque, seguire il Natale, il suo messaggio, significa renderci portatori di un sorriso, di un modo diverso di stare nelle difficoltà e nei conflitti dal momento che Dio stesso c’è stato nelle difficoltà e nei conflitti. Seguire il Natale significa sentirci sempre più responsabili delle paure e delle tensioni che rendono faticosa la vita dei nostri fratelli uomini. Per questo, lasciatemi concludere queste brevi riflessioni con la preghiera che abbiamo riportato nel retro dell’immagine distribuita in occasione delle benedizioni natalizie:
Andiamo fino a Betlemme, come i pastori.
L’importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso,
ci imbattiamo nella fragilità di un bambino,
non ci venga il dubbio di aver sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli uomini della terra, sono il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura.
[don Tonino Bello]
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