Santo Stefano

  1. Non è senza significato che la liturgia della Chiesa abbia scelto di celebrare la memoria del primo martire il giorno dopo il Natale. Per dire due cose: 
  • che il Natale non è quella festa mielosa ed infantile dove tutti siamo più buoni, dove puoi fare quello che non puoi fare mai, dove si può dare di più, … e amene falsità di questo tipo. Il Natale è una festa seria, vietata ai minori, dal momento che parla certo dell’incredibile scelta di Dio di mettersi nelle mani degli uomini, ma che parla anche di un rifiuto, di un riconoscimento riservato alle categorie più disprezzate come i pastori; non dimentichiamo che le antiche icone bizantine raffiguravano la culla come una tomba e le fasce come le bende con cui si avvolgevano i cadaveri;
  • che quel bambino è realtà seria, per la quale può anche valere la pena di giocarsi la vita; che credere in quel bambino significa accettare che Gesù Cristo sia come l’ultima parola su quello che pensiamo, su quello che facciamo, l’ultima parola sulla coscienza che ci dobbiamo formare, l’ultima parola sul senso della nostra libertà, colui che decide; che non si può dirsi cristiani senza mettersi costantemente di fronte alla sua Parola, al suo esempio, al modo di essere uomo; che non tutti i modi di pensare di un cristiano valgono allo stesso modo; dire “io credo in Gesù Cristo” significa che io credo in Colui che dice l’ultima parola su ciò che sono, su ciò che penso, su ciò che faccio
  1. Gli Atti degli apostoli ci informano che Stefano era un Diacono. È interessante che nascano prima i Diaconi che i Presbiteri nella Chiesa primitiva, figure stabilmente dedicate ad affiancare gli Apostoli nella loro missione, specializzate nella cura dei più poveri, nel servizio agli ultimi. Per dire che fin dagli inizi la Chiesa considerò che vivere la carità verso tutti gli uomini, compresi i nemici, fosse qualcosa di co-essenziale alla sua missione, non di accessorio o di opzionale. Certo, è la fede in Gesù Cristo che giustifica il “servizio” nella Chiesa. Questo non andrà mai dimenticato se non vogliamo trasformare la Chiesa in una succursale della Croce Rossa o della Protezione Civile.
  1. La questione centrale è Gesù. Stefano non viene lapidato da uomini miscredenti e senza Dio. La morte di Stefano parla dello scontro tra due mondi religiosi. Stefano, come Gesù, viene ucciso in nome di Dio, sport che non ha mai smesso di conquistare adepti. Stefano muore per mano di uomini per i quali l’assoluto era il Tempio, la Legge. Per quegli uomini bisognava difendere i simboli, le tradizioni. Mentre per Stefano, se c’era un assoluto, quello era diventato Gesù di Nazaret, quel Gesù di cui abbiamo appena celebrato il mistero della nascita. Un assoluto che lo aveva affascinato al punto che nel parlare di Lui arriva a dire “contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. La fede per Stefano – e per ciascuno di noi – non è un prontuario di norme o di definizioni, ma è una persona. È Gesù di Nazaret, è andare per fascinazione dietro alle sue orme. Fino al punto, per Stefano, di ripetere i suoi gesti. Come Gesù a consegnare il suo spirito (Signore Gesù accogli il mio spirito), come Gesù a invocare perdono (Signore non imputare loro questo peccato. Detto questo morì).
  2. Ebbene, noi che sempre corriamo il pericolo di ridurre la fede ad una istituzione, siamo oggi a chiedere la grazia di assomigliare, in piccola misura almeno, a Stefano: gli si illuminavano gli occhi, gli brillavano quando parlava di Gesù. Potesse avvenire per noi e per la chiesa oggi. A volte ne parliamo con occhi spenti e gelidi, senza un trasalimento, senza un’emozione, senza un’accensione minima del cuore. E Gesù sia per noi, come per Stefano, un vivente, dietro cui camminare, pur con tutte le nostre fragilità e debolezze, affascinati dalle sue orme. In questo può esserci d’aiuto la figura che stiamo approfondendo nei primi venerdì del mese, quel Charles de Foucauld dichiarato “santo” il 15 maggio 2022. Fratel Carlo ha vissuto la seconda parte della vita con il “tormento” di “imitare” il Signore Gesù cui volle “assomigliare” con tutte le sue forze. “Quando si ama, si imita, si guarda il Beneamato e si fa come lui … È cosa istintiva, quasi necessaria”. Questa è stata l’esperienza di Stefano di fr. Carlo del Foucauld. Che sia un po’ anche la nostra.

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