E gli altri?

E gli altri?

Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico

“E gli altri?”, si intitola con questa espressione provocatoria ed intrigante il Discorso alla città che l’Arcivescovo Delpini ha pronunciato – come da tradizione – in occasione dei Vesperi di Sant’Ambrogio lo scorso 6 dicembre.

Una riflessione cui volentieri rimando per una lettura attenta e pacata, una meditazione che nasce da una duplice consapevolezza che fin dai primi secoli del cristianesimo ha mostrato la sua evidenza, in particolare grazie al nostro patrono Sant’Ambrogio. La prima è che dalla fede cristiana deriva una precisa visione della convivenza civile e del bene comune, che dunque è lontanissima dalla nostra fede ogni concezione spiritualoide e disincarnata. La seconda consapevolezza riguarda il fatto che i cristiani, i pastori, ogni singolo credente-cittadino, sono chiamati a prendersi cura della città. Senza la presunzione di volere insegnare nulla a quanti la amministrano, semmai col desiderio di esprimere riconoscenza nei confronti di quanti vivono il loro ruolo animati dall’inquietudine provocata dall’interrogativo che dà il titolo al discorso: “e gli altri?”. “Altri” che Delpini elenca pensando alle categorie più incapaci di difendere i propri diritti: dai bambini abusati alle donne maltrattate, dagli anziani soli a quanti abitano la città senza che ce ne accorgiamo …

Di questi amministratori inquieti l’Arcivescovo tesse la sua lode, tesse l’elogio prendendo le distanze da ogni “insostenibile malumore”, da ogni “irragionevole lamento” ed afferma: “trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e di risentimento”. A fronte dello sport diffuso della facile deprecazione di una politica chiacchierona ed inconcludente, mi pare bello l’elogio rivolto alla democrazia rappresentativa “che non si accontenta di esprimere il voto per il proprio partito e il proprio candidato, ma che discute, ascolta, offre le proprie idee, pretende supporto per le forme di aggregazione e di presenza costruttiva nel sociale per prendersi cura degli altri, soprattutto di quelli che non contano, non parlano, non votano”.

A corredo del discorso alla città Delpini offre una pagina di Sant’Ambrogio di strepitosa attualità che trovate a conclusione di queste note. La riportiamo con l’orgoglio di appartenere a questa straordinaria tradizione da lui avviata.

Che cos’è tanto contrario alla natura quanto offendere un altro per il proprio interesse? … ma anche quelli che escludono i forestieri dalla città non meritano certo approvazione.

Ciò significa cacciarli proprio quando si dovrebbero aiutare, impedire loro i rapporti con la madre comune, rifiutare loro i frutti che la terra produce per tutti, troncare le relazioni di vita già iniziate, non voler dividere in tempo di necessità le risorse con quelli con i quali furono comuni i diritti.

Agì assai meglio quell’anziano che, siccome i cittadini soffrivano la fame e da ogni parte si chiedeva, come suole avvenire in tali frangenti, l’allontanamento dei forestieri, forte della sua responsabilità maggiore quale prefetto della città, convocò gli uomini più autorevoli e ricchi e chiese loro di prendere immediatamente una decisione dichiarando mostruoso il fatto che i forestieri venissero scacciati, disumano chi rifiutava il cibo a un moribondo. Non sopportiamo che i cani siano digiuni mentre mangiamo e scacciamo gli uomini.

Nulla c’è di così conveniente ed onesto che aiutare i poveri con le offerte raccolte tra i ricchi, distribuire viveri agli affamati, assicurare a tutti il cibo. Nulla c’è di così utile come conservare i coltivatori al loro campo e impedire che il popolo dei contadini perisca.

Don Roberto Davanzo

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