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- Nessuna altra pagina evangelica ha il fascino, l’incanto quasi fiabesco del racconto dei Magi. Misteriosi personaggi: quanti sono, che nomi hanno? sappiamo che vengono da oriente, ma da quale Paese? portano doni preziosi e misteriosi, vanno dietro il richiamo di una stella. E davvero Erode avrebbe fatto strage di bambini innocenti per essere sicuro di eliminare questo neonato Re dei Giudei che avverte come pericoloso concorrente? Difficile ritrovare la verità storica dell’avvenimento, ma di questa pagina che sembra una favola suggestiva possiamo tentare di decifrare qualche messaggio. Anzitutto notando che i Magi sono i primi stranieri che riconoscono nel bambino di Betlemme il Messia, l’Inviato di Dio. Dopo di loro il termine “straniero” non dovrebbe più avere diritto di cittadinanza. Gesù non è venuto solo per i figli del popolo di Abramo, ma per l’intera umanità. Davanti a lui cade l’opposizione tra noi e gli altri, la mia gente e gli stranieri. Davanti a lui siamo tutti in ginocchio, tutti fratelli, senza privilegi. Davanti al bambino di Betlemme, con i Magi che ci rappresentano, comincia un popolo che non conosce privilegi di razza, di lingua, di religione. I Magi anticipano quella unità e fraternità del genere umano che resta un sogno e un ideale da realizzare nella fatica dei giorni.
- Oggi, leggendo il racconto, cercavo di immaginare quali reazioni dovessero creare le parole di Matteo, dal momento che il suo vangelo era stato scritto per una comunità che veniva dal giudaismo. Doveva suonare provocatorio dal momento che metteva impietosamente in evidenza l’immobilismo del popolo santo di Israele che aveva ricevuto da secoli la rivelazione di Dio. Ed invece, a fare bella figura, erano questi stranieri disposti a mettersi in movimento, disposti a cercare anche al di fuori dei confini delle proprie sicurezze, disposti a camminare. Le autorità religiose di Israele invece non si schiodano: sanno solo consultare libri, fare accademia rimanendo seduti là dove sono.
- Ma la fotografia di Matteo è altrettanto impietosa a riguardo delle strategie del mondo politico nei confronti della religione. Erode vuole apparire agli occhi di quegli stranieri un benefattore della religione, un devoto desideroso di dare onore a colui che viene nel nome di Dio: “quando l’avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. Caspita, che devozione … potremmo pensare. Peccato che poi finisce per fare strazio e scempio di umanità. Anche lui immobile, nei suoi interessi di potere, perché tutto sia sotto controllo e che nemmeno un neonato si permetta di attentare al suo potere.
- Ed infine, immobile, anche se turbata, la città di Gerusalemme descritta con accenti poetici nel rotolo di Isaia (1^ lettura). La Gerusalemme del vangelo sembra il capovolgimento di quella della profezia. Isaia parlava di una città rivestita di luce mentre tutt’intorno “la tenebra ricopre la terra e nebbia fitta avvolge i popoli”. Nel racconto di Matteo è l’opposto: la città è nelle tenebre, mentre a risplendere luminosi sono i volti dei Magi, rappresentanti di quei popoli descritti dal profeta come avvolti da nebbie. Magi che non camminano alla luce di Gerusalemme, ma alla luce di una stella, come se Matteo volesse dirci che nessuna istituzione – nemmeno religiosa – sarà mai la luce del mondo, la meta del cammino. La stella porta a Cristo, lui è la luce, lui è la meta.
- Ed è in una casa. Non nel tempio. In una casa senza targhe, come senza targhe era la casa di Nazaret. Pensate la sorpresa dei Magi quando capirono che la stella puntava lì, in una casa qualunque, e che il neonato re dei giudei era un bambino qualunque e quella madre e quel padre gente comune. Piegarono le ginocchia, neanche fosse un sovrano sul trono.
- A quel punto bisognava andare a dirlo dove si era fermata la stella, perché questa era una notizia buona, buona per tutti i popoli. “E per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”: quasi a dire a tutti noi che, se si è contemplato il Figlio di Dio in una casa, si ritorna nel quotidiano per un’altra strada, con un altro stile di vita, con un altro modo di interpretare la vita.
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