Santa Famiglia

  1. A Milano la festa della Santa Famiglia di Nazaret la celebriamo alla fine di gennaio, quasi una ultima eco del mistero del Natale, dell’Incarnazione del Figlio di Dio che si è fatto uomo, ma non in un modo qualsiasi, bensì dentro una storia ordinaria, la storia di una famiglia. Questo ci consente di riflettere sulla realtà della famiglia, cioè di una comunione di vita tra persone diverse che si vogliono bene restando ciascuna ciò che è. Una realtà che, più di ogni altra, riesce a dire che cosa abbia in mente il Dio che Gesù ci ha raccontato. Un Dio che ci vuole suoi figli, eredi della sua stessa vita, così vicini a lui come una sposa lo è nei confronti del suo sposo. È chiaro che si tratta di immagini, ma per dire che non ci vuole sudditi, ma figli; non ci vuole schiavi, ma intimi. Dunque, la festa della Santa Famiglia diventa il modo più bello per chiudere il tempo del Natale, per spiegare a che cosa puntava il Dio cristiano nel mettere in piedi quella che chiamiamo l’opera della salvezza.
  1. Oggi, dunque, celebriamo la bellezza e la fragilità della famiglia: bellezza e fragilità insieme, nel racconto che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca dove a riconoscere la presenza del Figlio di Dio in un anonimo bimbo è un anziano sacerdote di nome Simeone; bellezza e fragilità insieme nelle raccomandazioni sapienti del libro del Siracide; insieme bellezza e fragilità nelle parole intense di Paolo ai Colossesi. 
  1. Ma torniamo al libro del Siracide dove la bellezza della famiglia appare come grembo dove ci si onora e ci si soccorre, e la sua fragilità emerge dalla vecchiaia che indebolisce e ti fa perdere vigore. E se torniamo alla lettera ai Colossesi la bellezza è data dalla comunione dei cuori che fa cantare di gratitudine salmi, inni, cantici spirituali, mentre la fragilità scaturisce dalla debolezza di ciascuno e di conseguenza dal bisogno di infinita misericordia. “Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza”.
    A dire che bellezza e fragilità vanno tenute insieme per non cadere in retoriche ingenue ed enfatiche, fuori dalla storia. D’altra parte, mettere in luce solo la fragilità può farci sconfinare in una depressione rinunciataria: “ma chi te lo fa fare…”.
  1. Ecco allora il punto sul quale potremmo fermarci questa domenica. Uno tra i tanti, ovviamente. La famiglia è un dono preziosissimo, proprio perché rappresenta una di quelle situazioni in cui è assente il mito dell’apparire. La famiglia ha a che fare con la verità delle persone: dentro la famiglia sei accolto per quello che sei, nella tua bellezza e nella tua fragilità; non sei guardato per i titoli che hai, per il tuo conto in banca, per il vestito firmato o meno, per il lavoro che fai … ma per quello che sei, con il tuo passato, con il tuo presente, con i tuoi sogni per il futuro. In famiglia non c’è la maschera, ma il volto. 
    Ecco, noi malati dell’apparire dobbiamo rinnamorarci di questi rapporti veri, di questi silenzi pieni, di questi sguardi che accarezzano, di queste parole non urlate, di questa fiducia nel seme gettato, di questa speranza indomita che viene dall’amore, di questa preghiera che ha l’odore della casa, di questa misericordia per la fragilità, di questa condivisione del senso della vita, di questa passione per i drammi della terra e dell’umanità. 
  1. Capite perché i cristiani hanno allora a cuore la famiglia. Perché il nostro Dio ha voluto prendere casa dentro queste dinamiche. Non è apparso come un meteorite, come un extraterrestre arrivato da chissà quale galassia. Ha sperimentato, ha amato il nascondimento, la non apparenza, il giorno dopo giorno. Si è alzato ogni mattina e alla sera si è coricato col peso della giornata. Per almeno trent’anni. Ha vissuto l’apparente insignificanza. Ma in quel giorno dopo giorno durato trent’anni non si è preparato a salvarci: la salvezza era già all’opera, la missione era già cominciata, anche se nessuno lo sapeva.
    Innamoriamoci dunque di questo giorno dopo giorno che rappresenta la nostra vita familiare. Sarà il modo forse più vero per assomigliare al nostro Dio. Sarà il modo più certo per partecipare al suo disegno di bene per il mondo. E non dimentichiamo il titolo della Festa della famiglia di quest’anno che suona così: «Annunciate con gioia la bellezza dell’essere famiglia!», una bellezza fatta di quotidiano fatto di tanta pazienza e di tanta normalità, di disattenzioni e di perdono rinnovato, di progetti e di sogni. Se persino il Figlio di Dio che si è fatto uomo non ha disdegnato di entrare nelle dinamiche belle e fragili di una famiglia e in queste dinamiche c’è stato non solo nei giorni teneri della sua infanzia, ma negli anonimi trent’anni nei quali nessuno sospettava della sua identità, allora vale la pena di tornare ad innamorarci di questa realtà per promuoverla, difenderla ed annunciarla.

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