1. La penultima domenica dopo l’Epifania prima della quaresima nel rito ambrosiano è detta anche “della divina clemenza”. La meditazione prende le mosse dal grido accorato del profeta Baruc: «noi abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati ingiusti, Signore, nostro Dio, verso tutti i tuoi comandamenti. Allontana da noi la tua collera». Parole che stanno bene questa domenica sulla “divina clemenza” e la prossima sul “perdono”; già perchè su questi temi il fraintendimento è sempre in agguato. Come si rapporta Dio nei confronti del male, del peccato? Le risposte ci fanno oscillare da un concetto di “giustizia di Dio” di tipo vendicativo dove Dio diventa il castigamatti di cui temere la vendetta … ad un’idea di misericordia, di clemenza di sapore buonista in cui Dio è il bonaccione che alla fine perdona tutti. In entrambi i casi l’esito è il medesimo: che ce ne facciamo di un giudice in più pronto a fulminarci per le nostre fragilità e miserie? Ma che ce ne facciamo anche un Dio che alla fine risolve tutto a tarallucci e vino, incapace di distinguere vittima e carnefice, sofferenti e autori di tali sofferenze? Un Dio così non serve a nessuno!
2. Cominciamo allora col dire che se il perdono di Dio ci viene offerto indipendentemente dal nostro merito, lo stesso perdono, per avere piena efficacia nella nostra vita, per produrre un qualche cambiamento, ha bisogno almeno della consapevolezza del nostro male. Lo stesso Baruc riconosceva che se Israele era disperso in mezzo alle genti questo era a causa del peccato del popolo: “noi non abbiamo dato ascolto alla voce del Signore”. Ma il Dio cui Baruc si rivolgeva era un Dio di misericordia: non un Dio facilone dalla manica larga, ma un Dio che voleva dare ad Israele la possibilità di ricominciare e questo lo avrebbe reso un Dio affascinante: “facci trovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportato, perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio”. Ecco la differenza con gli altri dei e con l’uomo stesso: un Dio esigente, certo, ma desideroso di rimettere in carreggiata l’uomo sempre pronto a sbandare e ad andare fuori strada. Il male per Dio resta male, ma la sua preoccupazione è come salvare l’uomo dal male, non come punirlo o fargliela pagare.
3. Il Vangelo di oggi, la pagina dell’adultera, affronta la questione con la sapienza e la poesia tipiche dell’evangelista Giovanni che ci racconta “come” faceva Gesù e quindi “come” fa Dio; per denunciare “come non” facciamo noi nel rapportarci al mistero del male e di chi lo commette. Deformando il volto di Dio e permettendo che il suo nome sia bestemmiato sulla terra. Già perchè il nodo sta proprio qui: nel saper distinguere come pensare all’errore e come pensare all’errante, al peccato e al peccatore, al male e a chi lo commette. E non dimentichiamo che comunque questa pagina del Vangelo non fu digerita così facilmente nella chiesa dei primi secoli: l’immagine di Dio che ne scaturiva era e resta scandalosa. Gesù appare come un sovvertitore della Legge di Mosè, un attentatore alle norme basilari di convivenza. In alcuni codici dei primi secoli i copisti arrivati a questo punto non copiavano il racconto e saltavano a quello successivo.
4. Dunque, ripercorriamo qualche passaggio del testo, qualche sottolineatura sferzante di Giovanni. “Tutto il popolo andava da lui…”. Da lui, non da loro, capite? Perdevano consensi. E allora si capisce come l’intento nel portargli la donna non fosse un desiderio di moralizzazione dei costumi, nè l’amore per la famiglia. Scrive l’evangelista: “dicevano questo per tentarlo”, per metterlo in difficoltà, per poterlo accusare di qualcosa e rivalersi per il suo inaccettabile successo. Ma Gesù, che conosceva il cuore dell’uomo e che era maestro di “scaltrezza”, non si lasciò abbindolare dai suoi avversari e inventò una risposta geniale in cui venivano affermati tre principi di metodo che dovremmo imparare a seguire a nostra volta per non rischiare di “nominare il nome di Dio invano”:
a/ prima di puntare il dito su qualcuno, guàrdati dentro (“chi è senza peccato getti per primo la pietra”); il Vangelo nota che “se ne andarono, cominciando dai più anziani”, non dai più vecchi, ma da quelli che avevano un ruolo di responsabilità nel popolo di Israele; forse ci sono dei momenti in cui devi denunciare un male commesso da qualcuno: non farlo se non in ginocchio e guardando da vicino colui che vuoi correggere
b/ il male è male e non va confuso col bene (“non peccare più”); tutto si può dire, fuorché Gesù fosse un facilone a cui andava tutto bene; la misericordia, la clemenza, hanno senso solo se non si confondono bene e male, solo se si riesce a precisare ciò che rende autentica la vita dell’uomo e ciò che la mortifica;
c/ il peccatore, l’errante, va messo nelle condizioni di poter ricominciare, sempre (“nessuno ti ha condannata”); gli altri la incenerivano, Gesù la faceva camminare; ecco dove conduce la clemenza: a rimettere in cammino il peccatore; non sappiamo che accadde alla donna del vangelo, ma se tornò a vivere fedelmente col marito forse fu solo perché aveva assaporato un amore clemente ed incondizionato che l’aveva resa una persona nuova; aveva intuito che, malgrado la gravità del suo gesto, il Dio di cui parlava Gesù non aveva smesso di volerle bene e le voleva offrire una nuova chance.
5. Parlare di “divina clemenza” significa sottolineare tre valori, tre buone notizie:
A. l’esistenza di un piano b per tutti: nessun uomo è così rovinato da non meritare la possibilità di un recupero; nessuno potrà mai essere ingabbiato, cristallizzato dal suo peccato, nemmeno scribi e farisei che portarono la donna da Gesù: come Gesù si rifiuta di condannare la donna, così non condanna nemmeno gli accusatori, ma li richiama alla loro verità, ad essere autentici, a non mentire, ad essere onesti con sé stessi. Gesù fa fiducia anche a loro
B. la manifestazione di un volto inedito e inaudito di Dio: un Dio che non può fare finta di niente di fronte al male e che non smette di chiedere la conversione e il pentimento; insieme, un Dio che non smetterà mai di inventarle tutte perche l’uomo si renda conto del suo male e si impegni a sconfiggerlo
C. la dimensione missionaria di questa rivelazione: un Dio così sarà sempre affascinante sia per ciò che è in se, sia per ciò che può indurre negli uomini che dovranno fare i conti con il male, il peccato, la trasgressione della legge
6. La questione è seria, lo capite. C’è di mezzo il nostro vivere familiare e sociale, i rapporti nella Chiesa e sul lavoro. Ma poi, che cosa potrebbe significare tutto questo a livello dell’amministrazione della giustizia da parte di uno Stato? Come tradurre questi elementi di metodo per un cristiano che avesse responsabilità in questo ambito? Come organizziamo le nostre carceri, in che modo educhiamo i responsabili di reati a rientrare nella società. Quali indicazioni trarre dalla fede in un Dio clemente e misericordioso?
Che la Parola di questa domenica provochi un provvidenziale ripensamento sul piano individuale, ma anche su quello politico e istituzionale.
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