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V Domenica dopo l’Epifania
- I vangeli del tempo dopo l’Epifania raccontano dei grandi segni compiuti da Gesù. Oggi si ritorna a Cana e anche stavolta Gesù compie un “segno”, il secondo dopo quello dell’acqua tramutata in vino: la guarigione a distanza del figlio ammalato di un funzionario del re. Si trattava del re Erode Antipa, figlio dell’Erode della strage degli innocenti, che governava in Galilea. Erode era un mezzo ebreo e dunque i suoi funzionari venivano un po’ da tutte le genti, non solo da Israele. Ecco allora la differenza rispetto al primo segno: Gesù chiede un atto di fede nella sua parola, chiede un atto di affidamento ad un personaggio che verosimilmente non apparteneva al popolo di Abramo, ma al quale propone di fidarsi e di mettersi in cammino così come Abramo si fidò e si mise in cammino in obbedienza alla Parola di Dio.
- Questa offerta di un cammino di fede a persone che non venivano dall’ebraismo non era una novità. Già il libro di Isaia ci parlava della dispersione degli israeliti nelle terre più lontane – a seguito della caduta di Gerusalemme sotto i babilonesi – come occasione di grazia: la dispersione avrebbe permesso agli ebrei di raccontare del loro Dio fino alle isole più lontane, fino nelle situazioni più drammatiche. Ora, il tema del rapporto con le “genti” ha una sua grande attualità. La condizione in cui ci troviamo oggi come Chiesa, come cristiani, è una condizione di diaspora, un miscuglio di credenti, di diversamente credenti o di non credenti. Una condizione che scatena i nostri piagnistei, ripensando ai bei tempi di una Chiesa maggioritaria e incisiva a livello culturale e politico. Ma perchè non leggere questa dispersione, questo essere minoranza, anche come una opportunità? Perchè non riusciamo a riconoscere anche noi questa grazia, la possibilità di incrociare lo sguardo di uomini e donne che fino a pochi decenni orsono sarebbero rimasti degli illustri sconosciuti. Oggi li abbiamo al nostro fianco: non è che dietro a questo ci stia la mano stessa del nostro Dio che ci chiede di riscoprire il bello del Vangelo e il bello del raccontarlo?
- Ma pensiamo adesso per un attimo all’uomo del Vangelo di oggi, un pagano, un funzionario, un politico. A dire – se mai ce ne fosse bisogno – dell’insufficienza del potere politico a portare salvezza all’uomo malato o sofferente, rappresentato dal figlio del funzionario. Funzionario che, come risposta alla sua richiesta, si becca la denuncia di Gesù: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Gesù l’aveva capito che tutti coloro che hanno a che fare col potere politico hanno bisogno di segni che esibiscono grandezza, potenza, forza. Sapeva bene che anche coloro che sono lontani dalla religione si espongono alla ricerca del “sacro”. Ma a quell’uomo ancora chiuso nella mentalità del prodigioso, del magico, chiede “solo” di mettersi in cammino. A dire che la fede è molto più che portare a casa una guarigione, un beneficio, una grazia. La fede è lasciarsi ribaltare la vita. E così fu per quell’uomo: senza vedere, senza pretendere niente “quell’uomo si mise in cammino” è scritto, e lo fece verso il bambino che stava morendo, ma con nel cuore quella parola che annunciava vita: “Va’, tuo figlio vive”. E lui va’, senza segni, solo credendo ad una parola.
- Allora pensiamo a noi, a quante volte ci troviamo di fronte a situazioni di agonia, per una malattia, per un difficile rapporto tra coniugi, tra genitori e figli, … Quando ti dovesse capitare, non aspettarti chissà quale segno, non pregare il Dio che risolve magicamente i tuoi problemi, ma mettiti in cammino. Cammina e scoprirai che il segno di Gesù anche oggi passa in segreto nel soffio del vento dello Spirito e giunge alle situazioni morte, disperate, per farle rivivere. Un passaggio invisibile, ma che accade.
- Il funzionario del re era andato da Gesù e – dice il testo – “gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio”. Belli quei verbi “scendere a guarire”. Se ci pensate è proprio quello che farà Gesù che ci guarirà dal male “scendendo” nella terra della morte, nella terra del totale dono di sè. Quasi a dirci che possiamo guarire dalle mille nostre situazioni disperate, non quando rincorriamo a segni mondani – esibizione, potere, prestigio, successo, dominio, interessi, appoggi – ma ogni volta che veramente “scendiamo”, nel senso del donare gratuito, dove non c’è contropartita e tu vai solo per amare, per prenderti cura, per sollevare.
Con lo stile della mitezza e dell’umiltà, lo stile che Gesù ha consegnato, come sua identità, ai discepoli.
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