Domenica della Samaritana

  1. Si parla di sete e di fame, di acqua e di cibo, per parlare di altro, di ciò che da sostanza e gusto alla vita umana. E si capisce che l’evangelista Giovanni, giocando su questi equivoci, ci provoca a riflettere e a domandarci che cosa mi disseta, che cosa mi nutre. Meglio: quali sono le mie seti, di che cosa ho fame, e dunque dove vado a cercare ciò che mi può dare la forza e il gusto di vivere.
  1. La protagonista di questa seconda domenica di quaresima, fina dai tempi di sant’Ambrogio, è una donna straniera, appartenente ad un popolo eretico, con però nel cuore quella domanda di bene e di amore che ci abita tutti, indistintamente. Se c’è qualcosa che ci rende parenti, simili, membri di una stessa famiglia, è proprio il desiderio di bene, di vivere sentendoci al nostro posto in questo mondo. Ma c’è un’altra cosa che ci accomuna in negativo ed è che spesso andiamo a cercare acque e cibi cattivi, incapaci di dissetarci e di sfamarci. Così fu per quella donna di Samaria dai cinque mariti più uno. Ecco perché leggiamo questa pagina nel tempo di Quaresima, tempo nel quale siamo chiamati a ri-decidere a chi vogliamo obbedire, chi vogliamo ascoltare (ob-audire), chi merita di essere preso in considerazione per rendere la nostra vita più bella. Obbedire per educare il nostro desiderio, la nostra ricerca, … Nella pagina dell’Esodo che ci riporta le parole di Dio a Mosè sul Sinai la Legge viene descritta come realtà da ascoltare ed osservare in quanto donata da un Dio che si presenta non come un despota o un faraone più potente di quello da cui erano fuggiti, ma con queste parole: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”. Ha senso obbedire alla Parola di Dio solo se con questo Dio si intrattiene una relazione di affetto e di fiducia. Non si può obbedire al Dio della Bibbia per paura o per cercare di carpirgli qualche briciola della sua potenza. Si obbedisce a lui solo perché è quello che ci ha liberati dalla schiavitù e perché ci tiene da morire alla nostra libertà.
  1. Noi vogliamo camminare in questo tempo di Quaresima guardando a Gesù obbediente. A quel Gesù che – ai discepoli stupiti che stesse parlando con una donna, samaritana e di dubbia moralità – ricorda che lo scopo della sua missione (il suo cibo, ciò che lo irrobustisce e gli da forza) è fare la volontà di Colui che lo ha mandato (il Padre). Che solo questo cibo avrebbe dato gusto alla sua vita, l’avrebbe resa bella, anche se faticosa.
  1. Tutto questo, raccontato nello splendido episodio della Samaritana al pozzo di Sichem. Storia di un incontro che evidentemente Gesù aspettava dalla notte dei tempi. Giovanni racconta che “Gesù, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo”. I padri della Chiesa leggendo e rileggendo quelle parole trovavano conferma di quella intuizione: Gesù era sceso dai cieli, si era messo in viaggio per potere incontrare l’umanità, ogni uomo, ogni donna, per liberarli dal sospetto di un Dio freddo e distaccato, giudice implacabile. Le aveva inventate tutte, pur di far venire voglia all’uomo di fidarsi di lui. Stanco “per noi”, ma non certo stanco “di noi”. Gesù quel giorno aveva sete, ma non tanto sete di acqua, bensì della nostra sete di Dio, di pienezza e di felicità, per aiutarci ad intuire che in lui, solo in lui avremmo potuto trovare la sorgente di acqua viva capace di placare le nostre arsure. Non per risolvere a buon prezzo i nostri problemi, quelli che condividiamo con il resto degli umani. Ma per trovare in lui come un pozzo di acqua dolce nel deserto.
  1. La donna samaritana aveva cercato di spegnere la sua sete di amore e di tenerezza affidandosi a uomini che forse l’avevano usata e lasciata ancora più arida ed assetata. Gesù no. Forse fu il primo a guardarla con occhi diversi, rispettosi, capaci di valorizzarla. Forse fu il primo a parlarle di cose alte e non di banalità da bar. Di raccontarle le cose di Dio, che non sono le cose campate per aria, ma quelle che ti riempiono il cuore e ti fanno luccicare gli occhi. Non sappiamo che cosa accadde a quella donna dopo la partenza di Gesù e dei discepoli. Di certo possiamo immaginare che se in qualcosa la vita di quella donna cambiò, fu non perché qualcuno l’aveva incenerita per i suoi peccati, per non appartenere alla religione giusta, per essere una poco di buono, … ma per quell’incontro al pozzo di Sicar dove aveva percepito la possibilità di una relazione diversa, più bella e più vera. Con Dio anzitutto e di conseguenza con ogni uomo e con ogni donna.
  1. Chiediamo in questa celebrazione lo sguardo di quel rabbi al pozzo di Sicar che di fronte all’invito dei discepoli “maestro mangia!” lui fa capire che si era già sfamato, dissetato, assieme a quella donna per quell’incontro che in ognuno aveva lasciato qualcosa. 
    In lei, nella donna, la percezione incancellabile di aver trovato finalmente qualcuno che le aveva letto nel più profondo del cuore e le aveva rivolto parole che erano acqua zampillante. 
    In lui, Gesù, la percezione che i campi, duri di gelo e di inverno, già si aprissero alla fioritura: “levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura”.

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