Passa al contenuto principale
- Dopo la domenica del cieco nato, anche la domenica di Lazzaro ci mette di fronte al mistero del dolore, del male, della morte e di come Gesù si è rapportato a questo mistero. Ricordate la maldestra domanda dei discepoli che gli chiedevano se la cecità di quell’uomo dipendesse da un suo peccato o da quello dei suoi genitori? Ricordate anche come Gesù si svincolò da questi discorsi da salotto che non ti compromettono, che non ti fanno mai domandare “io che cosa posso fare”? Ebbene, anche la lunga lettura di Lazzaro in qualche modo riporta in evidenza la questione: da dove viene il male? Perché Dio non interviene se è veramente onnipotente? E poi, perché non fa nulla per impedire che almeno i suoi amici possano essere preservati da certe disgrazie? Tra le righe, sia Maria, sorella di Lazzaro, che i giudei pongono senza mezzi termini la questione: “Signore, se tu fossi stato qui …”. “Lui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che non morisse?”. E poi, che senso dare alle parole di Gesù: “questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio…”? Signore, come possiamo guardare e rapportarci ai tanti mali che colpiscono uomini, donne, bambini, dalla martoriata Ucraina, ai territori del sud della Turchia e del nord della Siria, ai migranti che si affidano a moderni schiavisti senza scrupoli … in modo che tu venga glorificato?
- La questione è seria e ancora ci interpella. E badate bene che l’aver guarito il cieco, l’aver riportato in vita Lazzaro dopo quattro giorni di sepolcro … non ci mette troppo il cuore in pace. Dopo quel cieco, quanti uomini e donne hanno vissuto la vita nel buio delle tenebre senza beneficiare dell’intervento di Gesù? Dopo Lazzaro, quante persone, uomini, donne, bambini, hanno visto interrompere la propria avventura umana da una malattia incurabile, da un male che li ha sottratti all’affetto dei loro cari? È una questione che interpella la nostra fede e ci fa chiedere in che modo Dio si rapporta al male che ci raggiunge in forme sempre diverse; ma anche ci fa domandare “noi, che cosa possiamo fare di fronte al male?”.
- Lasciando stare qualsiasi disquisizione filosofica sulle origini del male, Gesù ha sempre dimostrato un modo di fare, uno stile che possiamo imitare a nostra volta. E questo stile, questo modo di fare è quello che passa attraverso quello che noi chiamiamo la com-passione, la disponibilità a stare accanto a colui che soffre. Gesù appare sempre nei vangeli come uno che vede l’altro. Gesù è sempre intrigato dalla presenza dell’altro. Capace di dimostrare il suo amore persino con gli occhi (passando vide … dove l’avete posto? vieni a vedere). Gesù fa come il Dio dell’Esodo: vede e poi ascolta. Un ascolto fatto di udito ma anche di occhi. Ecco cos’è ascoltare l’altro. Se si vede, se si ascolta, si arriva alla conoscenza. Il vangelo di oggi usa l’espressione “si commosse profondamente” che viene tradotta in altri passaggi con “provò compassione”. Esperienza possibile a chiunque di noi ogni volta che ci rendiamo disponibili ad avvicinarci e guardare faccia a faccia le persone che ci capita di incontrare. Anche se non saremo mai in grado di compiere i gesti miracolosi di Gesù. Ma la sua compassione, quella sì che possiamo tutti sperimentarla.
- E mi consola il fatto che nemmeno a Gesù sono state risparmiate le lacrime. Anche lui non fu risparmiato dalla morte di un amico di fronte alla quale “scoppiò in pianto” dice il Vangelo. Solo i freddi, i gelidi, gli indifferenti vedono le tragedie umane a occhi asciutti. Discutono nei loro salotti senza che si veda in loro un minimo intenerirsi, inumidirsi di occhi. Fanno salotto sulle tragedie umane. Talvolta le usano per polemiche elettorali, o per incrementare i loro affari. Nemmeno davanti ad un mare che soffoca nella gola la speranza di uomini, donne e bambini; un mare che diventa una tomba. Il Dio della Bibbia invece è un Dio che piange, che freme davanti alla morte. I suoi occhi non sono asciutti, hanno dentro il pianto dell’umanità, sono colmi di indignazione, sono incoraggiamento a non arrendersi. Come Marta, come Maria. Loro si erano già arrese.
- Un ultimo particolare mi ha colpito. Nel dialogo con Gesù Marta declinava i verbi al futuro, mentre Gesù le chiedeva una fede al presente, che la resurrezione è in azione già oggi. Quando Marta dice “so che risorgerà nell’ultimo giorno”, Gesù replica dicendo “Io sono – oggi, adesso – la resurrezione. Il Dio di cui Gesù ci racconta non è un Dio del futuro, del “dopo”. Gesù ci ha parlato di un Dio del “qui ed ora”, efficace, attivo, più potente della morte. Non è solo un aldilà, ma anche un aldiquà.
- “Credi tu questo?” chiede Gesù a Marta, e lo chiede anche a noi. Gesù ha avuto bisogno della fede di Marta per poter operare il miracolo di Lazzaro, così come aveva avuto bisogno della fede della Samaritana o del cieco nato. Ha bisogno anche della fede di ciascuno di noi per portare, ancora oggi, segni di risurrezione nelle innumerevoli situazioni di pianto, di schiavitù, di disumanità.
Potresti leggere anche:
Lascia un commento