
Le religioni non incitano mai alla guerra
Lo scorso 10 febbraio, presso il Centro Culturale Islamico di via Luini, abbiamo vissuto una ricca serata di confronto a “due voci” su un tema tanto delicato quanto urgente che è quello del rapporto tra religioni e violenza. Un binomio che – specie dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 – è stato associato nella mente di molti nostri contemporanei. Un tema di straordinaria attualità se solo pensiamo al conflitto tra Russia ed Ucraina, da un lato, e alla violenta repressione del regime iraniano di Khamenei verso comportamenti dichiarati contrari alla legge islamica e che sarebbero espressione di “inimicizia verso Dio”. Il conflitto tra Russia ed Ucraina oppone fratelli nella fede e ferisce il mondo dei cristiani. Non possiamo non essere a disagio di fronte al Patriarca della chiesa Ortodossa Russa Kyrill che benedice le armi che seminano morte nel nome di Dio o che promette ai soldati che moriranno in battaglia il perdono dei loro peccati. Non possiamo non provare sofferenza quando si giustifica la guerra per arrestare la degenerazione morale di un paese libero e democratico come l’Ucraina, colpevole di essersi lasciato corrompere dalla malvagità immorale dell’occidente. Cosa non molto diversa dall’essere impiccati dallo Stato teocratico dell’Iran per inimicizia verso Dio.
Di fronte a questi episodi – ultimi in ordine di tempo – possiamo e dobbiamo dichiarare con fermezza che si tratta dell’ennesimo tentativo di strumentalizzazione della religione a favore di visioni e/o progetti ideologici e politici finalizzati a sostenere logiche di potere mondano che con la religione poco hanno a spartire.
In questo senso, ci vengono in aiuto le parole che Papa Francesco e il grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, hanno sottoscritto nella Dichiarazione di Abu Dhabi, del 4 febbraio 2019: “Dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”.
Dobbiamo poi constatare che gli esseri umani entrano in conflitto tra loro spesso per interessi materiali: ricerca di terre o di petrolio, di oro o di argento, accesso all’acqua. Ovviamente non si tratta di negare che molti leader politici abbiano saputo giocare la carta religiosa per un aumento della mobilitazione bellica. Ma molti dei conflitti che ci sono stati presentati – e lo sono tuttora – come opposizioni di natura intrinsecamente religiosa, sono in realtà di altra natura. Afferma sempre il documento di Abu Dhabi: “(causa dei conflitti sono spesso) l’ingiustizia e la mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali, delle quali beneficia solo una minoranza di ricchi, a discapito della maggioranza dei popoli della terra”. La religione è certamente parte del problema, ma non il suo punto centrale.
Occorre quindi riconoscere che non è la religione – qualunque essa sia – all’origine di quasi tutti i conflitti umani, anche se, certamente, spesso li colora. Afferma il documento di Abu Dhabi: “Queste sciagure sono frutto della deviazione degli insegnamenti religiosi, dell’uso politico della religione e anche delle interpretazioni di gruppi umani di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portarli a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità e la religione, per realizzare fini politici ed economici mondani e miopi”.
Quali passi compiere al fine di rompere il binomio che affianca religioni e violenza?
Fondamentalmente due: il primo è quello di vivere in modo sempre più autentico e consapevole la propria esperienza religiosa per impedire che questa diventi una colorazione strumentale per altri fini. Il secondo è quello di affinare una maggiore conoscenza tra le diverse religioni affinchè emerga in modo più pieno il vero volto di Dio.
Già nel 1998, nel suo scritto a commento del viaggio di papa Giovanni Paolo II a Cuba, il cardinale Jorge Mario Bergoglio parlava del «pluralismo come riflesso dell’immensità di Dio». In quel testo si legge: “Tutti siamo figli di Dio, creati da lui a sua immagine e somiglianza. Pertanto, ciascuno di noi custodisce una parte della sua grandezza; ma soltanto nel ricongiungimento delle ricche diversità dell’uomo si può esprimere questa grandezza”.
Don Roberto Davanzo
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