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Domenica delle Palme – Messa processione degli ulivi
- È festa sempre in questo giorno dell’anno in cui ricordiamo l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme.
Parliamo di una festa, di gioia, ma è importante capire bene il senso di questa festa, perché – vedete – lo stesso evangelista non si vergognò di ammettere che gli stessi discepoli, pur travolti dall’entusiasmo, “sul momento non compresero queste cose”. Senza parlare di quelli che, dopo aver gridato “osanna”, pochi giorni dopo gridarono “crocifiggilo”. Dunque, di che razza di festa stiamo parlando? Ma fu una festa o solo una carnevalata?
- Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro. Il giorno precedente a questo ingresso c’era stata una cena a Betania, a casa di Lazzaro che Gesù aveva riportato in vita dopo che era rimasto per quattro giorni nel sepolcro. Il vangelo racconta che “gran folla” era andata a casa di Lazzaro per curiosare e anche il giorno dell’ingresso a Gerusalemme si parla di “grande folla”.
La risuscitazione di Lazzaro era stata una cosa clamorosa, straordinaria. La folla accorreva in massa: uno che riporta in vita un morto bisogna tenerselo buono, magari bisogna farlo primo ministro, magari anche re; uno che ha questi poteri potrebbe liberarci dai romani, risolvere finalmente i nostri problemi. E allora bisogna scendere per strada, acclamare: è lui il nostro re! Così fece la folla e non è difficile pensare che anche i discepoli pensassero le stesse cose.
- Ma questo modo di interpretare il miracolo di Lazzaro non era condiviso da Gesù e per dimostrarlo ecco la scelta dell’asinello. Quando aveva moltiplicato pani e pesci volevano farlo re e lui fuggì.
Insomma, – sembra dire Gesù – dite che sono re e va bene, guardate però che non sono un re come pensate voi. Piuttosto sono un re come lo pensava Zaccaria: un re, sì, ma umile, che cavalca un asino; non un re che spaventa con le guerre, che sbaraglia e umilia i nemici, che governa dall’alto …, ma un re – dice sempre Zaccaria – che “farà sparire i carri e i cavalli, che spezzerà l’arco della guerra e annuncerà la pace alle genti”. E provate a dirla questa cosa a quanti stanno aumentando i loro profitti grazie alla guerra in Ucràina!
Zaccaria scriveva così e Gesù l’aveva approvato, ma allora come mai noi discepoli di Gesù non ci facciamo problemi ad accettare che l’industria delle armi sia tra le più floride al mondo? Vuol dire che un re mite come quello di cui parla Zaccaria e come è stato Gesù non ha diritto di cittadinanza nel nostro mondo sempre più armato?
Scegliendo un asino, un somaro, un ciuchino è come se Gesù dicesse: “io non ho riportato in vita Lazzaro per mortificare e zittire i miei avversari, ma per dirvi che voglio portare un dono per tutta la terra, per radunare i popoli dispersi, per ridare vita agli scoraggiati, a quelli senza speranza”.
- Ma i discepoli non compresero la storia del somaro. La capirono solo dopo, “quando Gesù fu glorificato”, cioè quando fu appeso alla croce; è lì che Gesù vince, quando allarga le braccia per abbracciare ogni uomo; questa è la sua vittoria; ecco il re, ecco la vera vittoria.
Il gesto delle palme, la festa di quel giorno la si capisce solo se si va fino al Venerdì Santo a contemplare un re appeso alla croce.
Quella fu la vera vittoria: l’abbraccio della croce di un re che non ti toglie la vita, ma che te la dona.
- “Per mezzo di lui siano riconciliate tutte le cose” scrive Paolo nella lettera ai Colossesi. Per questo Gesù era venuto come un re: non per sconfiggere i nemici, gli avversari, ma per riconciliare, per mettere pace tra terra e cielo, tra Dio e uomini e gli uomini tra di loro. Sia questo il nostro modo di accoglierlo: diventare specialisti della riconciliazione!
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