II Domenica di Pasqua

  1. Così si chiude il vangelo di Giovanni. Ed è bello che si chiuda con questa indicazione: “Questi segni sono stati scritti perchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perchè credendo abbiate la vita nel suo nome”. Pensate, una fede in funzione della vita, poter vivere la fede per avere una vita più bella, più umana.
  1. E la fede, ci dice il vangelo, è per quelli che non vedono, che non pretendono di vedere, eppure si fidano, eppure credono. E noi siamo tra questi a cui Gesù dice “beati!” e ai quali – come quella sera, il primo giorno della settimana, quello che poi chiameremo domenica – augura la “pace”, parola che significava in ebraico pienezza, bellezza del vivere, felicità. Invece che rimproverare i discepoli per tutto quello che avevano combinato, per il fatto che Tommaso non fosse con loro, per il disastro di Giuda e quello di Pietro, … Gesù augura e dona la pace. E poi il segno, a garantire che quella “pace” era cosa vera: “mostrò loro le mani e i piedi”, mani che avevano toccato, guarito, rialzato, spezzato il pane e piedi che avevano camminato, che si erano impolverati e stancati; mani e piedi che ora portavano anche il segno dei chiodi. Come a dire che la pace che ci donava non era come quella dei romani basata sullo strapotere imperiale, non era nemmeno una sorta di tranquillità interiore superficiale e incosciente. La pace di Gesù veniva e viene da un amore a prova di croce, un amore che sarebbe rimasto impresso anche nel suo corpo risorto e glorioso, un amore che non sarebbe venuto meno anche dopo il suo ritorno al Padre. Nel suo paradiso, alla destra del Padre, ci sta Gesù risorto, ma con i segni dei chiodi impressi nelle mani e nei piedi. Per sempre.
  1. A quel punto il vangelo ci ricorda che Gesù “soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo” così come il Creatore fece all’inizio dei giorni quando sull’Adam – il terrestre – alitò la vita. La sera di quel giorno, il primo della settimana, cominciava una nuova creazione. Col dono dello Spirito per il perdono dei peccati. Già, perchè senza perdono come facciamo a vivere? Senza poterci liberare dal peso che la nostra ingiustizia, la nostra cattiveria, la nostra indifferenza, il nostro triste egoismo … finiscono per rappresentare per il nostro cuore. Come potremmo vivere senza sapere per certo che può raggiungerci un alito di vita libera, appassionata, solidale, bella, umanamente ricca? Senza perdono la resurrezione sarebbe una pia illusione!
  1. In tutto questo non possiamo non parlare della figura di Tommaso, quel Tommaso che nella storia dei credenti ha finito per diventare simbolo di malfidenza, di sfiducia, di presuntuosa voglia di toccare. Di Tommaso invece dobbiamo prendere la difesa, perché Tommaso siamo ciascuno di noi. Perchè quello che gli stavano raccontando gli amici era troppo bello e bisognava poter sincerarsi che non fosse solo una chiacchiera, un’illusione. E poi che credibilità avevano i suoi amici se, dopo aver visto Gesù risorto, continuavano a stare blindati in casa “a porte chiuse”. L’annuncio era fantastico, ma gli annunciatori poco affidabili. E Gesù forse fece meno fatica a ribaltare la pietra del sepolcro che a spalancare le porte del cuore dei suoi amici!
  1. Il vangelo però non dice che la seconda volta che Gesù si presentò tra i suoi (otto giorni dopo) Tommaso il dito lo mise nel foro dei chiodi, ma che si inginocchiò. E le parole di Gesù, oltre a confermare che non era un fantasma, un’illusione, risuonarono e risuonano come un compito: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi”, che vuol dire “ripetete il segno con le vostre mani, con i vostri piedi”. “Come”: allo stesso modo con cui io ho svolto la mia missione, anche a voi è chiesto di svolgere la vostra. Invece di rimproverarli e manifestare tutta la sua delusione, Gesù affida ai discepoli un incarico immenso, una missione impossibile umanamente, ma non se vissuta con la presenza dello Spirito Santo che Gesù dona ai suoi immediatamente dopo aver detto “pace a voi”. Dunque, con le mani e con i piedi.
  1. Le mie mani? Sono come quelle di Gesù, che abbracciava i bambini, sollevava la donna inferma, rialzava il paralitico, toccava il lebbroso, spezzava il pane, difendeva gli uomini e le donne dall’ingiustizia? Come sono le mie mani? Toccano o tengono le distanze? Sollevano o deprimono? Difendono o vivono nell’indifferenza? Spezzano il pane o lo tengono stretto?
  1. E i miei piedi? Quelli di Gesù erano sempre in cammino, passavano i confini, entravano in casa dei pubblicani e dei peccatori, non si arrestavano per la stanchezza, non si fermarono nemmeno in vista della croce. E i miei? Sono in cammino o sono fermo al passato? Sono a difendere frontiere o a passare i confini? Sono a lamentare stanchezza o a oltrepassare la stanchezza? Sono a rischiare qualcosa di me o a garantirmi sicurezza a danno di altri?
  1. Per questo voglio pregare: “Signore, rendici le tue mani e i tuoi piedi, aiutaci ad accettare le piaghe di un amore che entra nella carne. Signore, rendici oggi segno di un amore capace di far ricominciare, di ridare vita, di prolungare la tua risurrezione, perché altri – pur senza averti visto – possano credere che sei il Vivente e che operi in noi, tuoi discepoli di oggi”.

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