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- n questa domenica celebriamo la giornata mondiale delle vocazioni e per prima cosa vorrei sgombrare il campo da un facile equivoco. Non è solo una preghiera per preti, frati e suore, insomma per le cosiddette vocazioni di speciale consacrazione, ma una preghiera per ogni essere umano, perché ogni essere umano possa scoprire che la propria vita è risposta ad una vocazione, che c’è qualcuno che ti chiama alla vita e ti chiama a vivere in un certo modo, che non siamo abbandonati a noi stessi in questo immenso e spesso incomprensibile universo. Una preghiera decisiva per la qualità della vita di ciascuno e di tutti: è diverso vivere senza sapere perché, piuttosto che vivere sapendo che c’è un’intelligenza innamorata che non solo ci ha creati, ma che ci ha pensati – prima che esistessero le Pleiadi e Orione, le tre cime di Lavaredo e la costiera amalfitana – e ci pensa per un disegno, un progetto, una missione. Riuscire a scoprire che anche io sono chiamato da un Dio amorevole ed intelligente non risolverà nessuno dei problemi che incontrerò nella mia vita. Ma scatenerà una insonne curiosità: quella di sapere da questo Dio che cosa pensa di me e che cosa si aspetta da me.
- Tutto questo si giustifica e trova fondamento nella pagina del “pastore buono” che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni dal quale trarrei tre verbi più uno decisivi per capire il rapporto tra questo “pastore buono” e ogni essere umano.
- Cominciamo dal “più uno”, forse il più sconcertante: “ho altre pecore che non provengono da questo recinto”. Come a dire che nessun gregge potrà mai cercare di sequestrarlo, di farne una proprietà privata (fece scalpore l’affermazione del card. Matini quando dichiarò che “Dio non è cattolico”). Tantomeno a nessuno sarà mai concesso di perdere di vista le tante pecore che sono fuori del recinto, perché anche di quelle il pastore buono sente responsabilità. Non dice che dovranno entrare tutte nel recinto, ma che deve condurre anche loro, che anche loro dovrà nutrire, curare, pascere. Non so voi, ma io in queste parole ci sento un rimprovero mica troppo velato alla tentazione della Chiesa di sempre di immaginarsi in concorrenza col resto del mondo. La tentazione di pensare che fuori dalla Chiesa, dal nostro gruppo, dal nostro giro non ci sia possibilità di salvezza. La tentazione di disinteressarsi di quanti non appartengono ai nostri e così di dividere l’umanità tra quelli che meritano una qualche attenzione e quelli su cui non abbiamo responsabilità.
- Veniamo allora ai primi tre verbi. “Dà la propria vita”: da che mondo è mondo, semmai succede il contrario, cioè che il pastore vive grazie alla vita delle sue greggi. Per Gesù non è stato così, lui la vita l’ha data. Una vita “data e ripresa” possiamo dire dopo la sua Pasqua, dopo la sua morte e risurrezione. A dimostrazione che solo “dando la vita” – e non pretendendo di tenercela stretta – riusciamo a non perderla, possiamo ritrovarla, possiamo gustarla. Già da ora.
- L’altro verbo molto bello è che questo pastore buono “conosce le sue pecore”. E le pecore lo conoscono e questa conoscenza significa intimità, come quella che c’è tra Gesù e il Padre. Non un rapporto tra padrone e schiavo, ma una relazione familiare, tra padre e figlio!
- Da qui al terzo verbo il passo è breve e riguarda le pecore: “ascoltano”. Per certi versi, a fronte della cura e dell’attenzione da parte del pastore, alle pecore viene chiesta una cosa sola: quella di ascoltare la sua voce. Questa era l’identità del popolo di Israele che nel suo comandamento principale si sentiva chiedere: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio. Il Signore è uno solo. Tu amerai …” (Dt 6,4). Israele, il popolo di Dio, è un popolo che ascolta. Ma non in modo passivo. Queste pecore che sono, che siamo, il popolo di Dio, non sono pecoroni, ma pecore deste, aperte a comprendere, pecore intelligenti. Non si sta dentro il popolo di Dio, dentro il suo gregge, come gregari, ma come soggetti liberi, consapevoli. Ed è bello che tra Gesù e le pecore ci sia un elemento di comune riconoscimento: la voce. A dire che la relazione non è superficiale, ma profonda. Ricordate Maria Maddalena che riconosce Gesù risorto solo quando si sente chiamata per nome?
- Ecco che cosa intendiamo quando parliamo di vocazione: poter scoprire che se sono al mondo – anche se fossi nato per sbaglio o addirittura per violenza – è perché un Dio misterioso mi ha amato al punto da dare la sua vita per me, perché affascinato da questa offerta di amicizia e di intimità potessi arrivare a desiderare gli stessi sentimenti, lo stesso stile di vita del Figlio Gesù.
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