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- Il brano del Vangelo ci riporta nella cornice dell’ultima cena di Gesù con i suoi. E c’è una parola, un verbo che credo debba attrarre la nostra attenzione quest’oggi: la parola dimora, il verbo dimorare. Riascoltiamo: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Come a dire che dopo il ritorno di Gesù al Padre il divino, il mistero di Dio non dobbiamo andarlo a cercare in apparizioni o eventi straordinari, ma anzitutto in coloro che osservano la sua parola.
- Voi intuite che siamo di fronte ad un vero e proprio sconfinamento. Come se Dio in un certo senso cambiasse casa, cambiasse dimora. Un Dio che ama mostrarsi “ancora in viaggio”. Nella storia dell’antico Israele Dio accompagnava il popolo nel deserto abitando in quella che era detta la “tenda della presenza” che poi divenne il tempio di Gerusalemme. Poi venne Gesù e ricordate come Giovanni, nell’apertura del suo Vangelo parla di un’altra dimora, di una tenda che il Verbo ha posto in mezzo a noi. Era Gesù la tenda, la dimora di Dio. E uomini e donne lo hanno guardato e si sono accorti con stupore che Dio dimorava in lui, aveva messo la sua dimora in lui. Non anzitutto per i gesti clamorosi che Gesù compiva, ma per la sua straordinaria umanità. Ricordate: “vedendolo morire in quel modo …”.
- Ebbene, ora che Gesù stava per andarsene, Dio non rinuncia ad abitare vicino agli uomini. Semplicemente cambia casa, pone la sua dimora in chiunque – prendendo sul serio il suo comandamento – rende visibile il suo amore per gli uomini. È come se Dio voglia allargare la sua dimora a tutta l’umanità, in tutti coloro che lasciandosi impregnare dallo Spirito che animava la vita di Gesù, il suo modo di amare, diventano luogo della dimora di Dio.
- E allora capite che questa prospettiva poteva apparire un po’ insoddisfacente per chi si aspettava un Messia che avrebbe risolto in quattro e quattr’otto i problemi dell’umanità; un Messia atteso da secoli che sta per andarsene e invece lascia il comandamento di amarsi gli uni gli altri. Se si dovevano sconfiggere i nemici di Dio e del popolo di Israele, non ci sarebbe stato bisogno di qualcosa di più appariscente? Capite la domanda di questo discepolo, Giuda – non l’iscariota – che chiede a Gesù perchè si è manifestato solo al loro gruppuscolo e non al mondo intero. Quasi dicesse: “tutta qui la tua manifestazione, in questa piccola cerchia, in noi che siamo qui questa notte? Non prevedi alcun gesto eclatante, imponente, per farti riconoscere da tutti?”.
E Gesù che gli risponde che è proprio questo che lui si aspetta: non clamore mondano, ma gente disposta ad ascoltare e accogliere i suoi comandamenti che si riassumono in uno: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Lui sta per andarsene e vuole essere ricordato e mostrato al mondo attraverso i gesti di chi è attento a chiunque, di chi si piega su ogni ferita, di chi solleva ogni stanchezza, di chi dà la vita come lui dà vita, di chi dà passione, attenzione, tempo, cuore, … ogni giorno. Nel cuore di Gesù c’era il mondo, non solo quel manipolo di discepoli. Ma sarà attraverso i discepoli che il mondo potrà conoscerlo. Responsabilità da far tremare le vene ai polsi!
- Questa cosa che Gesù si aspetta dopo il suo ritorno al Padre, lui è convinto che possa succedere al di là di ogni confine, in quel mondo che va al di là dei propri confini religiosi. Guardate che la pagina della prima lettura è una di quelle che rappresentano un passaggio, una svolta decisiva nella storia della Chiesa. Insieme è una pagina che dice come dovrà fare la Chiesa di sempre, chiamata ad uscire dalle proprie sicurezze, dai propri recinti, a sconfinare anche lei, a mettersi in viaggio – come fece Pietro, su comando di Dio – per entrare in territori pagani, in quei territori che pensiamo essere senza Dio. La Chiesa di sempre – come Pietro – è chiamata a rendersi conto che “Dio non fà preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque popolo appartenga”. Non so se vi è sfuggito, ma quel giorno a Cesarea Pietro scopre nella casa di questo centurione pagano (non solo era un pagano, era anche un ufficiale dell’odiato esercito romano che occupava la terra di Israele) che lo Spirito scende e si fa presente in quella casa prima che fosse celebrato il battesimo. A dire che dimora di Dio, dimora della presenza, dimora del divino è un uomo giusto e aperto. Pietro si rende conto che Dio la sua casa, la sua dimora, la pone ovunque. Anche al di là dei confini che noi stabiliamo, dei paletti che noi sempre amiamo stabilire per chiarire chi è dentro e chi è fuori.
- Chiudo. Facendo notare che per riuscire ad accorgerci che una casa che non credevamo è abitata dallo Spirito, bisogna prima avvicinarsi, bisogna entrare, bisogna togliere dal cuore e dagli occhi ogni pregiudizio. Una verità questa, forse un po’ scolorita anche ai giorni nostri. Ma per grazia, questa sera, abbiamo riaperto il Libro e il Libro, ancora una volta, ce l’ha ricordata.
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