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- Un economista, il prof. Leonardo Becchetti, spiegava che la vita di una persona si può considerare compiuta e felice quando è vissuta nella prospettiva del fare qualcosa di buono per gli altri, del lasciare un segno si sé nella storia, … che si articola in quattro verbi: desiderare, far nascere, accompagnare, lasciare andare. Il Vangelo di oggi ci permette di dire che la vita di Gesù è stata una vita felice, proprio perché dopo aver desiderato la salvezza dell’umanità, dopo aver fatto nascere la chiesa, dopo aver accompagnato i suoi discepoli a compiere i primi passi dietro di lui, si è preparato a lasciarli andare, ha posto cioè le premesse perché loro potessero continuare a camminare anche senza di lui.
- Ma torniamo al vangelo di questa domenica. Siamo nella cornice dell’ultima cena e Gesù prepara i suoi all’imminente congedo. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Non c’era da stupirsi: di fronte all’annuncio che Lui non sarebbe più stato con loro, ecco il panico, il disorientamento di chi era cosciente dei propri immensi limiti. E Gesù che rincara la dose: “Se mi amaste vi rallegrereste che vado al Padre”. Gesù prepara il suo “ritorno” al Padre per compiere la sua missione e mettere i suoi amici in condizione di poterla continuare. Gesù non era un milanese stile “ghe pensi mi”. Le cose, anche quelle più grandi, le voleva fare ma non da solo. Gesù voleva degli amici contenti della immensa responsabilità che lui affidava loro. Lui stava per andarsene, ma la missione – quella di rendere il mondo sempre più a misura di uomo – doveva continuare! Non dimentichiamolo: per essere felici bisogna desiderare, far nascere, accompagnare, lasciare andare.
- Certo, dovevano continuare la missione di Gesù, ma non appena con le loro misere forze. Ed è per questo che Gesù, il grande educatore, nel fare un passo indietro, nel lasciarli andare, non li lascia soli, ma promette quel dono misterioso e invisibile che, se accolto, avrebbe prodotto risultati visibilissimi in quanti si sarebbero lasciati abitare da lui. Un dono che chiama “paraclito”, “avvocato”, “Spirito Santo” e che dovrà fare due cose: ricordare tutto ciò che lui ha detto e mettere pace nel cuore dei suoi amici.
- “Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”. Noi diventiamo capaci di continuare la missione di Gesù a condizione di ascoltare e fare memoria della sua Parola. Paolo, nel brano della seconda lettura dichiara solennemente che avere il dono dello Spirito significa arrivare ad avere il pensiero di Cristo, a pensare come lui per potere agire come lui. Se non riusciamo a vivere come Gesù forse è perché non vogliamo fare la fatica di pensare, di lavorare sulla nostra coscienza che è il luogo da cui partono i desideri, i sogni, le spinte che determinano il nostro agire. Capite, c’è un problema di educazione della nostra interiorità senza la quale il vivere come Gesù rischia di diventare una missione impossibile.
- “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Ecco il secondo grande effetto che lo Spirito genera in chi lo accoglie … Una pace che non è una cosa per madonnine infilzate, per persone senza peccato originale. Una pace donata a uomini e donne pieni di difetti e di peccati, uomini e donne immersi nella conflittualità e nelle preoccupazioni della vita, ma uomini e donne capaci di sognare insieme, di pensare bene, di lasciarsi illuminare dal pensiero di Gesù, dal suo modo di giudicare il mondo, la vita, la storia. Uomini e donne ripieni di quello Spirito che li educa piano piano a pensare come pensava Gesù, per arrivare – come Gesù – a dare la vita per i fratelli.
- Ecco a che cosa serve fare la prima comunione, ecco che cos’è la comunione col Signore: metterci lungo un sentiero che ci condurrà a pensare come Gesù, per arrivare a vivere un po’ come lui. Per vivere una vita magari non facile, ma compiuta e felice.
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