II Domenica dopo Pentecoste

Nel 40mo di ordinazione presbiterale

  1. Dopo la domenica della Trinità che ci ha fatto dare uno sguardo sintetico, complessivo, al mistero del Dio conosciuto a partire dal tempo di Avvento, su su fino alla festa di Pentecoste, la liturgia ci propone ora, di domenica in domenica, i diversi aspetti della storia della salvezza, del modo in cui noi cristiani possiamo guardare alla vita, a Dio, agli altri. Quasi una specie di catechesi settimanale per mettere a fuoco i contenuti essenziali della nostra fede. 
  1. Eccoci, dunque, al primo passo in cui è messo a tema il modo di pensare a ciò che ci sta attorno, alla realtà fatta di cose e di persone. Il concetto con cui si definisce tutto questo è quello di “creazione” che indica almeno due cose: la prima è che ciò che esiste non si è fatto da sé (e quindi non va considerato come una divinità, non va idolatrato, …); la seconda è che niente e nessuno potrà mai venire considerato nostra proprietà, per disporne a nostro piacimento. Insomma, se ciò che abbiamo attorno a noi è frutto dell’azione creatrice di Dio, allora è a Dio che dobbiamo chiedere i “criteri di utilizzo”, il modo giusto di rapportarci a ciò che è diverso da noi. La prima lettura, tratta da un libro scritto 200 anni prima di Gesù, lo dice chiaramente: Dio ha collocato l’uomo in quella terra da cui lo ha tratto, per dire che noi non siamo degli alieni, ma siamo imparentati con questa terra (adam-adamah); con gli uomini Dio stabilisce un’alleanza, una relazione, un’amicizia, … e “fece loro conoscere i suoi decreti”, le regole d’uso, le istruzioni per un buon utilizzo. Istruzioni che quando si dimenticano, quando ci si illude di essere padroni delle cose, della natura, del mondo, … ci si espone a disastri infiniti. “Hanno adorato e servito le creature anzichè il Creatore”: far diventare le cose, anche le più belle, la realtà più importante della nostra vita, dimenticando di seguire i “suoi decreti” ci porta a pensare di essere noi i padroni del mondo con le conseguenze che Paolo elenca senza mezzi termini (…). Pensate alle manipolazioni genetiche o alla stessa maternità surrogata. Pensate alla finanza senza scrupoli. Pensate alla corruzione perpetrata da funzionari, politici ed imprenditori già ben pasciuti e foraggiati.
  1. Ecco allora che la Scrittura ci spiega dove stanno i paletti che il Creatore ha posto per aiutare l’uomo a usare bene delle cose che ha intorno a sè. Paletti, binari, che partono da un presupposto: nessuno potrà mai considerarsi il padrone di nulla per il solo fatto che al mondo, sulla terra, nessuno potrà mai pensarsi da solo. Il mondo, la terra, le cose, … dovrai considerarle a partire da questa basilare consapevolezza: non ci sei solo tu e devi quindi imparare a condividere. “Disse loro: «Guardatevi da ogni ingiustizia!» e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo”. Capite: non solo di convivere col prossimo, non solo di non schiacciarsi i piedi. Addirittura, di “prendersi cura” di colui che è diverso da te, ma che abita come te questa terra, questo mondo.
  1. Ma anche questa affermazione non fu sufficiente. Sappiamo bene come a Gesù stesso fu chiesto di precisare il concetto di “prossimo”. E Gesù – al quale piaceva anche fare il provocatore – non solo arriva a dire che non sarà mai lecito dividere l’umanità in categorie (i nostri, quelli della famiglia, i lombardi, …) da favorire rispetto ad altre. Addirittura, arriva a spiegare che per capire chi sia il prossimo bisogna guardare al Dio che ha fatto tutte le cose, che fa piovere e fa splendere il sole indistintamente, anche sul campo dei malvagi. Riconoscere che le cose, i beni, non sono proprietà esclusiva di chi li possiede, ma dono di un Padre buono che sta nei cieli, significa far riflettere sul nostro volto il volto di quel Dio. Vedete, talvolta ci nascondiamo dietro la presunzione di essere figli di Dio semplicemente in forza di un sacramento ricevuto. E invece Gesù ci spiega che il titolo di figli lo si guadagna sul campo uscendo dalla logica del “tu mi dai, io ti do” e sconfinando in quella della gratuità, cioè del fare le cose anche senza guadagnarci, pregando persino per chi ci rende la vita difficile.
  1. In questo giorno di festa in cui assieme ai miei compagni celebro i miei primi 40 anni di esercizio del ministero, mi chiedo quale sia stato il motivo che mi ha indotto ad intraprendere questa strada. Faccio fatica a razionalizzare quello che mi passava per la testa tanti anni fa, ma credo di poter affermare che, se oggi sono fermamente convinto di avere fatto la scelta giusta, è proprio la scoperta di potere guardare al mistero della realtà nel modo in cui la parola di Dio ci ha detto in questa II domenica dopo Pentecoste. E la conseguente percezione di essere chiamato a raccontarlo a quanti avrò modo di incontrare lungo la mia strada. Non si diventa preti per se stessi, per ambizione o per una ricerca individuale di santità, ma solo per il popolo di Dio, per quanti ne hanno consapevolezza e per quanti – comunque – sono oggetto della benevolenza di Dio. A tutti quanti ho incontrato in questi quarant’anni la mia gratitudine e la mia richiesta di perdono per tutte le volte che non sono stato all’altezza della mia missione.
  2. Nell’editoriale del Notiziario di giugno parlavo di meraviglia per come il ministero mi ha permesso di entrare sempre più e sempre meglio nel cuore incandescente del mistero del Dio che Gesù di Nazaret ci ha raccontato. La diversità delle esperienze fatte e degli incarichi ricevuti mi ha consentito – e continua a farlo – di guardare ad aspetti sempre diversi e sempre nuovi del servizio cui il Signore mi ha chiamato. Una meraviglia, certo, legata anche alla percezione di una radicale inadeguatezza che, invece di essere un ostacolo, diventa un trampolino verso inaspettate scoperte. Il poco che siamo, che sono, non conta nulla sul piano della quantità. Conta solo in rapporto a come siamo disposti a metterlo in gioco. Pensiamo al “miracolo” dei pani e dei pesci raccontato nel Vangelo di Giovanni: come in quell’occasione, a noi il Signore chiede di mettere a disposizione il poco che abbiamo, di metterlo tutto e di farlo per Gesù. Il miracolo che basti per tutti … lo farà lui.

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