IV Domenica dopo Pentecoste

Quello del diluvio universale è un “mito” che appartiene a numerose culture religiose dello stesso periodo in cui la Bibbia ...

  1. Quello del diluvio universale è un “mito” che appartiene a numerose culture religiose dello stesso periodo in cui la Bibbia è nata e dello stesso territorio in cui si è formata. Parliamo di una riflessione che si sviluppa a partire dal 1800 a.C. e parliamo di un territorio che va dalla valle del Nilo alla Mesopotamia. Questo significa che non dobbiamo leggere questo racconto della Genesi come oggi leggeremmo un resoconto giornalistico. Che cioè dobbiamo fare la fatica di cogliere, dietro al racconto, dietro al mito, il significato che va ben al di là di tutti i particolari (le acque, l’arca, gli animali, …). Voglio dire che per la Bibbia, per l’interpretazione che ne dà anche il NT con la pagina di Luca appena letta, la storia del diluvio universale ci parla del mistero del peccato dell’uomo che arriva a rovinare persino il rapporto con quella creazione nella quale Dio lo aveva posto come signore. Di un peccato che ha inquinato non solo i rapporti tra uomo e donna, non solo tra fratelli (Caino e Abele), non solo tra popolazioni diverse (torre di Babele), ma addirittura tra uomo e creato, tra uomo e natura. L’acqua, elemento vitale per l’uomo, può diventare la causa della sua morte, della sua distruzione (v. gli ultimi eventi in Romagna). Un peccato che è molto più che la trasgressione di una qualche legge data da Dio. Un peccato che – ricordate domenica scorsa – si radica nella presunzione di ogni uomo di decidere autonomamente dove stia il bene e dove il male, nella sua presunzione di essersi fatto da se stesso e di non dovere rendere conto ad alcun giudice della propria condotta. Per la Bibbia il peccato è quanto rende disumana la vita dell’uomo, ogni comportamento, ogni modo di pensare e di agire che rende invivibile lo stare dell’uomo sulla terra e con gli altri esseri umani.
  1. La liturgia della Parola di oggi ci aiuta a compiere un passo in più in questa meditazione sul peccato e lo fa con la pagina del vangelo di Luca dove il peccato non è definito da comportamenti particolarmente drammatici, ma è inserito nel quadro di una vita apparentemente normale: “mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito …”. A dire che la vita dell’uomo può rovinarsi anche dentro una apparente normalità, quando cioè la normalità viene vissuta senza un sussulto, senza una domanda, senza mai sollevare lo sguardo dalla ricerca di dare risposta ai bisogni primordiali, che ci rendono molto prossimi al regno animale, ma non possono appiattirci sul regno animale: siamo fatti per molto di più, siamo fatti per vivere una consapevole e desiderata comunione con quel Dio che ci ha creati per farci vivere con lui e come lui.
  1. Il dito è puntato lì, su quel “mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito …” che fa trapelare la pericolosità di una vita drammaticamente banale, dove banale non significa semplice, umile, ma banale rimanda ad una assenza di pensiero, di riflessione, di coscienziosità, di umanità. Ecco, banale è il contrario di una vita umana. È una vita vissuta solo per rispondere ai nostri impulsi, ai nostri istinti ed egoismi. E quando questo accade, quando una società, una cultura, un mondo arriva ad appiattirsi su questo livello, quando la stessa classe dirigente di un Paese non riesce a svolgere una azione educativa contro la banalità della vita, quando non riesce a proporre un colpo d’ali che sollevi dai sentimenti della “pancia”, … vuol dire che ci si sta avvicinando ad un qualche diluvio, ad un qualche evento che finirà per travolgere quella società, quella cultura. Accadde all’Impero romano d’occidente con l’avvento delle popolazioni barbare. È accaduto alle civiltà centramericane con l’arrivo dei popoli europei. Può accadere anche alla nostra civiltà occidentale se non sapremo raccogliere l’insegnamento che ci è venuto, ad es., dalla crisi economica del 2008 e che domanda un ripensamento complessivo su come immaginare il nostro modello di sviluppo, i rapporti con le altre popolazioni mondiali, i criteri di distribuzione della ricchezza prodotta. Così come dalla pandemia, dalle morti senza numero nel nostro Mediterraneo. Anche questo, vedete, centra con il peccato, con una vita distratta e superficiale.
  1. Infine, se mai ce ne fosse stato bisogno, ecco che Paolo nel brano ai Galati che abbiamo ascoltato come seconda lettura, arriva ad esemplificare con cruda meticolosità quelli che poi sono gli esiti di una vita banale. L’elenco dei comportamenti peccaminosi è quasi angosciante; proviamo a dividerlo in categorie:
  • “fornicazione, impurità, dissolutezza” per stare sul piano di una sessualità mal usata
  • “idolatria, stregonerie” per dire che dimenticare Dio significa aprire la porta ad assoggettamenti e a schiavitù di ogni tipo
  • “inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie” come esiti negativi di un rapporto con gli altri che viene inesorabilmente rovinato
  • “ubriachezze, orge” per dire che quando si vive banalmente poi non ci si appartiene più, ma finiamo per appartenere ai nostri istinti più bassi.

    Certo, non siamo così rovinati da riuscire ad assommare tutte queste miserie. Ma il rischio è concreto. E con il rischio anche l’antidoto: camminare secondo lo Spirito, ricordarsi che non siamo fatti solo per assecondare i nostri bisogni primordiali, che abbiamo impresso in noi una dignità che non ci è lecito sprecare. Una dignità che sta nel non essere fatti solo per noi stessi, che la vita la vinciamo solo quando riusciamo a dare spazio anche agli altri e che la perdiamo se continuiamo a vivere ripiegati sul nostro ombelico, pensando solo a noi stessi.

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