Quarant’anni di sacerdozio

Quarant’anni di sacerdozio

Gratitudine e meraviglia

L’11 giugno di quaranta anni orsono, assieme ad altri 25 “compagni di classe”, venivo ordinato presbitero nella chiesa di Milano.

Dopo quattro decenni, mi trovo dunque a “fare il punto” e a farlo nella cornice di questi ultimi sette anni che mi vedono parroco a Santo Stefano.

Gli anniversari, i compleanni, le ricorrenze che segnano la nostra vita, lungi dall’autorizzarci a qualsiasi autocelebrazione, vanno vissuti con senso di responsabilità, come occasioni di riflessione sul cammino fatto, come sguardo sul cammino che continua ad aprirsi davanti a noi.

Due sono i sentimenti che questo appuntamento suscita nel mio cuore: quello della gratitudine e quello della meraviglia.

Anzitutto gratitudine. Si diventa preti e si continua ad esserlo per la promessa di un Dio affidabile che non viene meno alla parola data, che non smette di chiamarci, malgrado le nostre lentezze ed inadempienze. Ma questa gratitudine va rivolta anche alle tante componenti del popolo di Dio che un sacerdote incontra nel suo percorso di vita e che di fatto plasmano il suo essere prete, sopportando e supportando le sue mancanze e i suoi deficit. Così come non si è preti se non in risposta alla chiamata di un Dio che non si stanca di scommettere sull’uomo, altrettanto non si è preti senza l’interazione con uomini e donne, credenti o meno, che colorano le nostre giornate, il nostro impegno, le nostre vite. Non si diventa preti per se stessi, per ambizione o per una ricerca individuale di santità, ma solo per il popolo di Dio, per quanti ne hanno consapevolezza e per quanti – comunque – sono oggetto della benevolenza di Dio. A tutti quanti ho incontrato in questi quarant’anni la mia gratitudine e la mia richiesta di perdono per tutte le volte che non sono stato all’altezza della mia missione.

Ma parlavo anche di meraviglia. E la voglio legare a come il ministero mi ha permesso di entrare sempre più e sempre meglio nel cuore incandescente del mistero del Dio che Gesù di Nazaret ci ha raccontato. La diversità delle esperienze fatte e degli incarichi ricevuti mi ha consentito – e continua a farlo – di guardare ad aspetti sempre diversi e sempre nuovi del servizio cui il Signore mi ha chiamato. Una meraviglia legata anche alla percezione di una radicale inadeguatezza che, invece di essere un ostacolo, diventa un trampolino verso inaspettate scoperte. Il poco che siamo, che sono, non conta nulla sul piano della quantità. Conta solo in rapporto a come siamo disposti a metterlo in gioco. Pensiamo al “miracolo” dei pani e dei pesci raccontato nel Vangelo di Giovanni: come in quell’occasione, a noi il Signore chiede di mettere a disposizione il poco che abbiamo, di metterlo tutto e di farlo per Gesù. Il miracolo che basti per tutti … lo farà lui.

Don Roberto Davanzo

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