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Solennità della Santissima Trinità
- Dopo la festa di Pentecoste inizia il tempo della Chiesa, quel tempo che la liturgia chiamava “ordinario”, quasi che si tratti di un tempo in cui non accade niente di speciale. E invece capite tutti che per certi versi questo diventa il tempo decisivo, quello nel quale verificare se il lungo itinerario dall’Avvento fino alla Pentecoste, passando per il Natale e la Pasqua, è riuscito a lasciare un segno in noi, una luce, una passione.
A mo’ di passaggio, di ponte, di sosta tra la Pentecoste e il tempo ordinario ci sta la festa della Trinità. Quasi per chiederci che cosa è rimasto di quanto abbiamo vissuto in questi mesi. Con quale volto di Dio, con quali pensieri su di lui e su di noi, sulla terra, sulla storia rientri nella vita. Che cosa porti con te.
E vorrei anche dire che questa riflessione non ci paia troppo teorica. In questa stagione multireligiosa e multiculturale è importante evitare due rischi che di tanto in tanto affiorano.
– Quello che di fronte alle tante diversità ci fa chiudere, arroccare su quella che chiamiamo talvolta a sproposito “la nostra identità”. Chi è diverso ci spaventa e allora reagiamo rifiutando l’incontro e il dialogo. L’identità…
– Ma non è infrequente cadere nell’altro eccesso. Quello che ti porta a pensare con una buona dose di superficialità che in fondo Dio è lo stesso, che lo chiamiamo in modi diversi, dunque vogliamoci bene…
Il ragionamento è diverso ma alla base c’è la stessa ignoranza e la stessa paura: non sappiamo bene chi sia il Dio nel quale diciamo di credere e in compenso chi è diverso da noi ci inquieta e ci spaventa.
- Ecco allora perchè è preziosa questa domenica di sosta che ci fa porre lo sguardo sul Dio cristiano che abbiamo imparato a chiamare con il nome di Trinità. Nome freddo, che non ci scalda il cuore più di tanto. Ma che vuole ricordare anzitutto che per i cristiani parlare di Dio significa parlare di comunità e di comunione. Trinità è superamento dell’uno chiuso in se stesso. Il nostro è un Dio aperto, interessato a quanto accade fuori di lui, appassionato, coinvolto.
Lo chiamiamo Padre, Figlio e Spirito Santo per dire che quel Dio nel quale crediamo non esiste per conto suo e basta. Esiste per noi, in relazione a noi, all’uomo, al mondo. E allora provo ad abbinare a questi tre nomi, a queste tre Persone, una parola, una caratteristica che dice qualcosa di loro, ma che guida anche la nostra vita.
- Cominciamo col Padre. Se devo trovare un termine per precisare qualcosa del suo mistero direi “compassione”. È così che appare nell’episodio del libro dell’Esodo appena ascoltato. Un Dio che si presenta come quello che “ha osservato la miseria del popolo, ha udito il suo grido, conosce le sue sofferenze”. Per questo un Dio che decide di “scendere per liberare”. Un antico testo ebraico di meditazione su questa pagina dice: “Il santo – Benedetto sia – disse a Mosè: Non senti che io sono nel dolore? Guarda da che luogo parlo, dalle spine. Se così si potesse dire, io condivido il dolore di Israele”. Dunque, un Dio nelle spine, nelle angustie del suo popolo.
- Il Figlio è la seconda Persona di questo Dio-comunità. Il Figlio noi l’abbiamo visto, udito, toccato in Gesù di Nazaret. E allora la parola più adatta che mi sento di abbinare è “condivisione”. Gesù, il Figlio, non ha mantenuto la distanza dall’uomo. Si è fatto uno di noi, ha sperimentato tutte le nostre miserie, fino alla tomba. Si è messo in coda coi peccatori per essere battezzato ed è morto in mezzo a due delinquenti. È stato tentato come noi, in tutto ciò che noi siamo tentati. Grazie al Figlio Gesù, Dio ora sa che cosa significhi essere uomini e lo sa da uomo, c’è passato, ha condiviso, ha rotto ogni separazione, ogni barriera.
- Poi c’è lo Spirito Santo. Ne abbiamo parlato la scorsa settimana con la festa di Pentecoste. Se in quella festa la parola che avrei abbinato è “diversità”, oggi, dopo aver ascoltato il brano della lettera ai Romani di san Paolo, direi “figli”. “Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura … ma uno spirito che rende figli”. Lo Spirito viene mandato perchè gli uomini diventino “figli” di uno stesso Padre, sentano di fare parte della sua famiglia, avvertano che il modo più bello per ringraziare il Padre per i suoi doni è quello di vivere da fratelli.
- E allora sì che cambia, che dovrebbe cambiare la nostra vita: non più schiavi pieni di paura, ma figli pieni di confidenza e di amore. Credere in un Dio così ci rende liberi da un’idea tirannica di Dio: siamo suoi figli. E se siamo suoi figli, membri della sua famiglia, diventiamo ogni giorno un po’ come lui, spinti da passione di amore, capaci di osservare, udire, provare compassione nei confronti dei nostri fratelli uomini. Disponibili a scendere, a liberare, a sollevare. Figli, liberi.
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