V Domenica dopo Pentecoste

Dopo la meditazione sul diluvio, la tappa successiva che la Bibbia ci propone e la liturgia domenicale offre al nostro ...

  1. Dopo la meditazione sul diluvio, la tappa successiva che la Bibbia ci propone e la liturgia domenicale offre al nostro cammino di fede riguarda la figura di Abramo che viene riconosciuto da Ebrei, Cristiani e Musulmani comune “padre nella fede”. Già questo fatto ci istruisce: abbiamo una paternità comune; dunque, ci è chiesta una esigente fraternità. Malgrado quello che è successo nella storia, …, la vocazione di ebrei, cristiani e musulmani è quella di mostrare come la fede nello stesso Dio ci chiede una qualche forma di fraternità che non annulla le differenze, ma che evidenzia una specie di filo rosso che ci lega e in qualche modo ci rende parenti. Di Abramo ci viene narrato un grande viaggio, il suo abbandonare terra, parentela, casa del padre, …, il suo lasciare la terra di Mesopotamia verso una terra incerta. Un racconto che ha a che fare con un altro viaggio: la scoperta del Dio vero, del Dio vivente che sbaraglia gli idoli che ci facciamo con le nostre mani; la scoperta che questo Dio non solo esiste, ma vuole parlare con me, ha bisogno di me per raggiungere ogni uomo e ogni donna. Significa la scoperta che la vita ha un senso, che c’è qualcosa per cui vale la pena di vivere e di morire, qualcosa di più importante di qualsiasi altra sacrosanta realtà umana. San Charles de Foucauld, apostolo dei Tuareg musulmani, scrisse nel suo diario: “quando capii chi fosse Dio compresi che non potevo fare altro che consegnargli tutta la mia vita”.
  2. Ma torniamo ad Abramo e alla sua vicenda che la Genesi ci racconta nella cornice di un processo di frantumazione dell’umanità. Domenica scorsa parlavamo del peccato dell’uomo che – dopo aver lacerato il rapporto con Dio, con la donna, col fratello – arriva a rompere anche con la natura. Malgrado ciò Dio non cessa di circondare l’uomo di amore misericordioso. “Il Signore disse”. La storia di Abramo incomincia con una parola di Dio. Anche la creazione è incominciata allo stesso modo. È un uomo qualsiasi, sconosciuto, uno dei tanti, ma la parola di Dio lo trae dall’ombra e lo fa essere.
    La Parola di Dio è allo stesso tempo un ordine (“Vattene dal tuo paese… verso il paese che io ti indicherò”) e una promessa (“farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome”), ed esige dall’uomo a cui è rivolta obbedienza e fiducia. Abramo è chiamato a un cambiamento di esistenza, a una conversione radicale senza nostalgie, abbandonando tutte quelle sicurezze che sono racchiuse nel presente già noto (la casa, la terra, i parenti) per andare verso un futuro la cui unica garanzia è la Parola del Signore. Tutto questo è la fede: vivere non più un progetto teso nello sforzo di conservare ciò che già si possiede, ma un progetto proteso in avanti, giocato completamente su un futuro che ancora non si possiede.
    Dio indica ad Abramo dove andare solo dopo che è partito. Prima la fiducia, poi l’indicazione. L’uomo di fede non è colui che – conoscendo in anticipo la meta – progetta, poi, lui stesso la strada. È Dio che svela la meta e la strada.
  3. Abramo ha lasciato la sua terra ed è partito senza sapere dove andare, e non si è mai pentito di averlo fatto. Ha creduto nella promessa del Signore, una fede difficile e ostinata, che non l’ha sottratto a paure e ad esitazioni, ma che mai è venuta meno. È morto sereno, ma senza vedere la promessa compiuta: non ha ancora una terra e non ha una numerosa discendenza. Ma è fiducioso che Dio proseguirà la sua opera. Ad Abramo è toccato essere l’uomo dell’inizio, non del compimento. Le parole più profonde su Abramo e la sua fede si leggono nella Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato come seconda lettura. Essere uomini di fede significa essere uomini dell’inizio, senza la pretesa di vedere il compimento delle promesse.
  1. Allora è chiaro che la fede di cui ci parla Abramo è una fede che costa cara, molto più che una messa la domenica e la firma dell’8×1000 alla Chiesa cattolica. Una fede che va a toccare la profondità della nostra coscienza e ci mette stabilmente in discussione: è Dio il bene più prezioso della mia vita? chi mi conosce, sa leggere in me almeno la tensione a vivere questo primato? 
    Guardate che sta qui il senso delle parole apparentemente assurde del brano di Luca nel quale sembra che nel Regno di Dio non ci sia spazio nè per gli affetti familiari, nè per i doveri più sacrosanti come quello di dare sepoltura al proprio padre. 
  1. Dunque, le parole di Luca vanno decodificate alla luce della vicenda di Abramo, alla luce di una fede che pur essendo una decisione radicale, non è una scelta che si pone una volta per tutte. È sempre in movimento, è un dramma, una scelta da rinnovare ogni giorno, un dono da chiedere continuamente nella preghiera: il dono di fidarsi sempre più delle promesse di Dio, anche quando non si vede all’orizzonte il loro realizzarsi.
    Una fede che sarà anche un bruciare le proprie umane certezze per scegliere Dio come unico punto di appoggio. Ricordate Abramo e la richiesta assurda di sacrificare suo figlio. Ci sono dei momenti in cui l’unica cosa è andare avanti fino in fondo, salire sulla cima del monte. Dio interviene quando l’uomo ha fatto tutto il suo possibile ed ha seguito con lealtà la propria coscienza. La fede è questa tenacia: la fiducia che al fondo della strada dell’uomo c’è sempre Dio, al di là delle tenebre c’è sempre la luce.

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