VI Domenica dopo Pentecoste
La Parola di Dio oggi ci ricorda che siamo tutti degli inguaribili cercatori del volto di Dio. E lo fa ...
- La Parola di Dio oggi ci ricorda che siamo tutti degli inguaribili cercatori del volto di Dio. E lo fa introducendo la figura di Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia – commenterà la Scrittura – e che appare in un momento drammatico per la storia di Israele: la rottura delle due tavole di pietra che sancivano una alleanza subito tradita e infranta dal popolo e che ora Mosè era salito ancora sul monte per chiedere di rinnovare. E una volta sul monte fu Mosè ad attaccare per primo: “Mostrami la tua gloria, fammi vedere il tuo volto”. E Dio a rispondergli: “farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome … ma tu non potrai vedere il mio volto”.
- Ecco di chi ci parla la scrittura in questa domenica, di un Dio che non si può vedere, una verità che le religioni, spesso anche la nostra, dimenticano. Di fronte a Dio si può stare solo come Mosè, nella caverna, curvato con gli occhi a terra. E mi chiedo se invece non accade che ai non credenti l’immagine che diamo è piuttosto quella di gente altezzosa che pontifica con assolutezza. Come se avessimo visto Dio. Come sarebbe bello se come chiesa riuscissimo a dire al mondo che in realtà Dio noi al massimo siamo riusciti a vederlo di spalle e che è solo questo ciò che possiamo raccontare. Come sarebbe diversa la storia del mondo se un po’ tutte le religioni e le fedi riconoscessero di aver visto Dio solo di spalle, di avergli visto solo la schiena. La terra ne guadagnerebbe un sussulto di umanità. Tanti integralismi, tanti fanatismi, tante superbie ne verrebbero sgretolate.
- Dunque, un Dio che non si può vedere, ma un Dio che va ascoltato, di cui ascoltare il nome, perché il nome ne rappresenta un po’ l’essenza. E Mosè, ad occhi chiusi, nella caverna sul monte ascoltò quella voce che diceva “il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà …”. E già qui è contenuta una straordinaria buona notizia visto che se Mosè chiedeva “mostrami la tua gloria” Dio risponde “farò passare davanti a te tutta la mia bontà”. Come a dire che per Dio la gloria è la sua bontà. E poi, l’altra buona notizia è che se Dio dice il suo nome, allora significa che ha piacere ad entrare in relazione con noi. Non succede così anche a noi quando, rivolgendoci a qualcuno, diciamo “come ti chiami?”.
- E questo è ciò che accadde con Mosè e con tutto l’Antico Testamento. Ma che cosa possiamo dire di più anche a proposito del nome di Dio dopo ciò che ci ha raccontato Gesù di Nazaret? Se ci mettiamo in ascolto non di parole pallide, ma di una storia concreta, viva, fatta di case e di strade, di sabbie e di emozioni, di scelte e di passioni … che è la storia di Gesù di Nazaret, allora avremo molto da imparare a proposito di Dio, del suo nome, del suo volto.
- E così arriviamo al vangelo che oggi abbiamo ascoltato che ci aiuta a conoscere Gesù e di conseguenza Dio stesso. Chi sono coloro che Gesù chiama beati? E a chi dice “guai a voi”? E perché insiste nell’allontanarci dalla logica commerciale dell’ “a tanto, tanto” invitandoci ad amare i nemici, a dare a coloro da cui sappiamo che non riavremo, a pregare per coloro che ci trattano male? Con questo modo di esprimersi Gesù intende farci conoscere chi è Dio, dove vanno i suoi pensieri, le sue attese, le sue passioni. E di conseguenza ci provoca a chiederci dove vanno in realtà i nostri progetti e i nostri desideri. E a guardarci dal presumere di avere conosciuto tutto di lui.
- Nel prossimo pellegrinaggio in Marocco ricorderemo i martiri del monastero di Tibhirine trucidati in Algeria nel 1996. Il loro priore, Christian de Chergè così scriveva pochi giorni prima di essere sequestrato e poi ucciso da folli islamisti: “Il Cristo di cui vive la chiesa è smisuratamente più grande di quanto lei si immagini. Non ci accade forse di dimenticarlo e di credere che essere cristiano significhi conoscere tutto di Cristo? Dio è più grande. Allahu Akbar. Cristo è più grande, incomparabilmente più grande. Proclamarlo in una fede nuda è la migliore testimonianza resa alla sua divinità”.
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