VIII Domenica dopo Pentecoste
La figura del giovane Samuele ci fa compiere un altro passo nell’affascinante cammino che la liturgia di domenica in domenica ...
- La figura del giovane Samuele ci fa compiere un altro passo nell’affascinante cammino che la liturgia di domenica in domenica ci propone. Di Samuele ci viene detto che fu riconosciuto come “profeta”, come un uomo tutto di Dio (Dio parlava con lui, Samuele lo ascoltava e riferiva le sue parole) ma anche come un uomo tutto legato al suo popolo, un popolo che già aveva smarrito la strada dell’alleanza, che nei suoi capi (i figli del sacerdote Eli) aveva ceduto alla corruzione, ad un modo di intendere la religione come vile interesse a scapito della fede del popolo. Israele era da poco entrato nella terra che Dio aveva promesso, ma la sua esperienza di fede aveva già perso le sue radici, la memoria della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Ma il Dio della Bibbia non appare mai come un Dio rassegnato. Dispiaciuto, arrabbiato, sì, ma non rassegnato ad una religiosità corrotta. Eli – è scritto – aveva occhi indeboliti dall’età, ma insieme incapaci di veder il male compiuto dai suoi figli. Eppure – è scritto – “la lampada di Dio non era ancora spenta”, come a dire che quel vecchio sacerdote, anche in tempi di decadenza religiosa, fedelmente, testardamente, rappresentava un Dio che resiste anche nella notte dei tempi del suo popolo, nella notte dei tempi della Chiesa. Anche nella notte più fonda la voce di Dio si fa sentire!
- Fino a quando non trova qualcuno disposto ad ascoltarla. E così, alla terza volta che si sentiva chiamato Samuele rispose: “parla, Signore, perchè il tuo servo ti ascolta”. Vedete, è a questo punto che possiamo dire che comincia la fede: quando ti senti chiamato, interpellato da Dio. Magari un Dio confuso, che non conosci, ma che intuisci ha qualcosa da dirti. Un Dio per il quale sei importante, non sei un numero, sei un “tu”. Vicenda che riguardò il giovane Samuele, grazie al quale iniziò un periodo nuovo per Israele e che lo condurrà a diventare un popolo unico, una monarchia, ma che riguarderà quella figura straordinaria che sarà Paolo di Tarso, lui ebreo fino al midollo delle ossa che arriva a definirsi “prigioniero di Cristo per voi pagani”, tanto era rimasto affascinato dal mistero di Gesù Cristo che a lui si era rivolto non di notte – come a Samuele – ma comunque causando una certa notte, visto che dopo l’episodio di Damasco Paolo resterà cieco. Per dire che l’incontro con il Dio vero non è mai un incontro facile, di semplice interpretazione e guai ad illudersi di riuscire a comprenderlo da soli. Samuele avrà bisogno dell’aiuto di Eli. Paolo di quello di Anania. Questo per dire che se talvolta ci può venire l’illusione di pensare che la fede sia una questione tra me e il mio Dio, bisogna che questa fede accetti la fatica di diventare fede comunitaria, capace di confrontarsi con la storia di una Chiesa forse non sempre all’altezza, ma che è la responsabile ultima di quello che sempre Paolo chiama “il ministero della grazia di Dio”. Ancora una volta, a dire che la fede comincia non quando credi che Dio ha creato il mondo, ma quando scopri che ha affidato agli uomini, a me e a te, il ministero, l’incarico, di far sapere a tutti che è un Dio di grazia e non un Dio di condanna.
- E allora veniamo al Vangelo per il quale la voce di Gesù non risuona in un luogo sacro come fu per Samuele, ma lungo il lago di Galilea, terra di confine, terra di razze mescolate, di soldati e di esattori delle tasse. A dire che il vangelo passa per i luoghi ordinari: la voce di Gesù ci è rivolta nei mestieri più comuni, nella quotidianità più normale.
Un racconto affascinante per i luoghi, ma anche per i verbi di movimento: “mentre camminava lungo il mare di Galilea” … “andando oltre”. Movimento di Gesù, ma movimento dei primi discepoli che “subito lasciate le reti lo seguirono” … “subito lasciata la barca e il padre lo seguirono”. Ed ecco ancora una volta che cosa è la fede: un lasciare ed un seguire. Già, ma la chiesa è proprio questo lasciare e seguire o è diventata solo istituzione? E noi cristiani, siamo quelli lasciano e seguono o quelli arroccati sulle nostre presunte sicurezze, sulle nostre abitudini che spesso nulla hanno a che fare col Vangelo?
- Certo, viene da chiedersi: come doveva essere quella voce, la voce di Gesù, come doveva essere risuonata dentro di loro quel giorno, perchè gente di fatica, gente di pesca e di lago come loro, volti induriti dal sole e dal vento, è scritto “subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Subito! Così Andrea e Simone e subito dopo Giacomo e Giovanni. Affascina e inquieta quel “subito” e mi fa chiedere: che cosa manca a me, perchè “subito” lo segua? Che cos’è che li aveva convinti: il fatto che si fosse rivolto a loro, a dei pescatori? O forse quel brivido di cose buone e promettenti che vibrava nella sua voce e nei suoi occhi? Era diverso dagli altri.
E allora mi viene da pensare che forse è di questo che io ho bisogno. Ho bisogno di ascoltare la sua voce, di scorgere il brivido dei suoi occhi nelle pagine dei vangeli. E poi, subito, seguirlo.
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