XII Domenica dopo Pentecoste
Siamo ad una nuova tappa della storia della salvezza che non fa riferimento ad un personaggio, ma ad un evento ...
- Siamo ad una nuova tappa della storia della salvezza che non fa riferimento ad un personaggio, ma ad un evento tanto drammatico, quanto decisivo nella vicenda dell’antico Israele: la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio di Salomone, con la conseguente deportazione a Babilonia di quanti scamparono alla spada dei caldei. Pensate: per gli israeliti quella fu la prima “shoah”, la prima vera catastrofe che diede il nome a quella a noi più nota, rappresentata dallo sterminio di 6 milioni di ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Un evento drammatico e insieme scandaloso dal momento che metteva in discussione la fede nel Dio clemente e misericordioso che si era fatto conoscere dai padri di Israele. Dunque, un Dio vendicativo, quasi fosse intenzione del Dio dell’AT di rispondere con diluvi alla malvagità umana? Ma il libro delle Cronache non dimentica la storia dei reiterati appelli di Dio. “Il Signore, Dio dei nostri padri” è scritto “mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perchè aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il suo culmine senza più rimedio”. Si parla di premura e di insistenza come a raccontare un Dio tutt’altro che incline alla vendetta. Premura ed insistenza che parlano di una passione: “Perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora”. Questo è Dio!
- Come rileggere con gli occhi della fede questi eventi? Come farsi illuminare dalle parole anche severe di Gesù nel Vangelo di oggi. Due sembrano i possibili messaggi.
Il primo è che nella relazione con il Dio della Bibbia nulla può essere dato per scontato, quasi un diritto acquisito. Le città di Corazin e Betsaida appartenevano al mondo ebraico. Tiro e Sidone al mondo pagano. Gesù è deluso che i figli di Israele siano refrattari alla sua predicazione, ma è fiducioso che i pagani possano accoglierla con più entusiasmo.
Il secondo lo potremmo formulare così: accogliere il dono di questa relazione, di questa elezione immeritata, chiede scelte di vita molto precise. Il Dio della Bibbia non è un Dio per tutte le stagioni, la sua clemenza e misericordia non sarà mai contrabbandabile con buonismo superficiale. L’uomo che questo Dio ha creato a sua immagine e somiglianza non è una realtà neutra, non sarà se stesso con qualsiasi scelta, non si realizzerà pienamente se non seguendo modi di pensare e di agire ben precisi. Gli appelli di Dio vengono da una passione per il popolo, la passione di chi vede l’esito inesorabile verso cui corre una vita che si nega alla voce di Dio e della coscienza. Il dono di Dio è immeritato, ma chi lo riceve deve far vedere la disponibilità ad un cambiamento, ad una conversione, il desiderio di mostrare che cosa cambia nelle relazioni tra di noi quando si accoglie il messaggio del Vangelo. Vangelo che – lo ricordiamo – non serve per conquistarsi il paradiso – ma per mostrare qual è il sogno di Dio sulla storia.
- Concludo. La prima lettura ci spiega che il re Sedecia “indurì la sua cervice e si ostinò in cuor suo a non far ritorno al Signore”, che “i capi di Giuda … moltiplicarono le loro infedeltà imitando in tutto gli abomini degli altri popoli e contaminarono il Tempio che il Signore si era consacrato a Gerusalemme”. Come a dire che certo, Israele era il popolo di Dio, che doveva essere orgoglioso di questa appartenenza, orgoglioso di questa identità da vivere come un onore, ma anche come una responsabilità, lottando contro ogni presunzione. Siamo dei privilegiati ad avere conosciuto il Dio di Gesù Cristo, ad essere cresciuti e a crescere nella Chiesa. Ma questo non ci autorizza a dormire sonni troppo tranquilli…
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